Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo

Ziqqurat n°8
Sommario

Nicola Maria Martino, Enigma di un approdo, 2002, acrilici su tela, 100 x 80 cmPittura come Progetto intervista a
Nicola Maria Martino
di Andrea Zanella

Con Nicola Maria Martino ci incontriamo nel suo ufficio di direttore dell’Accademia di Belle Arti di Sassari, occasionalmente utilizzato come studio. Appoggiate alle pareti ci sono sei delle ultime opere realizzate per la mostra Denominazione di origine controllata alla Fondazione Morra a Napoli: sono sei tele ad olio di circa un metro di lato.

A.Z.: Con questa ultima mostra sei tornato al grande formato, ci sono ragioni precise?
N.M.M.: Forse c’è più spazio. No, il problema non è la dimensione: la pittura non dipende da un formato.

A.Z.: Certo, però per un lungo periodo hai fatto quadri piuttosto piccoli che poi magari si assemblavano a formare dei dittici o polittici, ma comunque piccoli formati di base.
N.M.M.: Se vuoi è il problema inverso della disponibilità di spazio. Io ho cominciato a lavorare su piccoli formati venendo qui in Sardegna nel 1993. Venivo da Torino dove avevo uno studio piccolo; arrivato in Sardegna, nonostante avessi trovato uno studio più grande, ho lavorato alla realizzazione di opere di piccolo formato. Come vedi, lo spazio non c’entra granchè. Io qui mi sono trovato ad affrontare una situazione di sbandamento dovuta al cambiamento sia della situazione che della luce. Già, lo sbandamento della luce era importante. Qui, all’improvviso, non riuscivo più a fare ciò che avevo fatto fino ad allora, pur avendone la piena coscienza e quindi c’è stata una situazione di stallo: sentivo che dovevo ricostruire me stesso e potevo farlo solo a partire da frammenti che poi, eventualmente, avrei potuto rimettere insieme. E allora ecco che il piccolo formato diventava molto più difficile del grande. E comunque, non ne farei un dato storico.

Nicola Maria Martino, Apeyron, 2003, olio su tela, 100 x 100 cm ciascunoA.Z.: Tu dici che il piccolo formato è più difficile, o almeno in un certo momento lo è stato. Parli del modo di organizzare la composizione?
N.M.M.: Insomma, non vorrei che il formato fosse considerato un alibi per giustificare un meccanismo di pittura. Poi a volte ci sono problemi pratici, come quello dello spazio, ma anche l’umore. E comunque per me il formato non è un dato significativo o progettuale. L’estate scorsa a Taormina ho dipinto almeno quattro tele grandi, ma perché ero dell’umore di farlo. No, in realtà non è neanche un dato progettuale: non esiste progetto.

A.Z.: Ma come, non vorrai dire che nella tua pittura, così rigorosa, non c’è progettualità?
N.M.M.: Io ho la pittura come progetto e, da questo punto di vista, il formato non ha nessuna importanza. Ha importanza solo la pittura. Come dissi in un’intervista di trent’anni fa, «la pittura è» e io sono sempre stato fedele alla pittura e basta.

Nicola Maria Martino, Avevo perso il senso del tempo, 2002, acrilici su tela, 80 x 80 cmA.Z.: E il colore? Da quando sei in Sardegna la tua pittura è fatta di gialli, di rossi, di arancio, che oggi si stendono in grandi campiture uniformi su queste grandi tele; il blu, che era uno dei colori preferiti è sempre più raro.
N.M.M.: Nell’atmosfera di Torino aveva un senso il valore intimista del blu. Qui ho ritrovato la grande gioia del colore. E ritorno sull’intervista di Nicosia, quando si insisteva sul blu. Il blu era un’occasione; anche allora dicevo che un giorno sarei tornato ad amare i gialli e i rossi. E oggi a 56 anni posso dire di aver ritrovato qui questa felicità di colore, il desiderio di esprimermi con colori accecanti. Che sono poi i colori delle mie origini, io sono mediterraneo. Il blu è un colore silenzioso, notturno, è il colore della volta stellare; il giallo e il rosso sono i colori del pieno giorno, sono colori che urlano.

A.Z.: Quindi, vuoi dire che in qualche modo hai voglia di urlare. Non si direbbe, a leggere per esempio Oggi è un venerdì…., la raccolta di scritti molto intimisti che hai pubblicato l’anno scorso. E tra l’altro nella vita sei stato e sei un provocatore.
N.M.M.: La scrittura è una cosa, la pittura è un’altra. Prima alzavo la voce, provocavo, poi Torino mi ha calmato. Oggi, arrivato alla maturità, non è tanto la voglia di provocare, quanto la voglia di gridare la felicità della pittura. Inoltre, vedo che molti giovani ora amano di nuovo la pittura, dopo tante esperienze che hanno portato lontano. Ecco io in maniera pretenziosa, se vuoi, alzo la voce in pittura. E poi il Pittore è un santo. In Oggi è un venerdì il pittore ripercorreva la sua vita e la sua storia e in qualche modo affermava che il suo fare non può essere solo provocazione. Oggi forse sono ancora provocatorio nell’atteggiamento quotidiano, ma non voglio essere provocatorio nella pittura. Mi sento solo di urlare la gioia del colore.

Nicola Maria Martino, Ritorno a casa tardi, 2002, acrilici su tela, 100 x 80 cmA.Z.: Ora ti senti di urlare, ma prima in qualche modo ti sei isolato, qui in Sardegna, no?
N.M.M.: Sì, è vero che mi sono isolato, concettualmente, pensando che per me era terminato un ciclo, dovevo ricostruire quelli che erano stati gli episodi fondamentali della mia vita e avevo bisogno di nuova concentrazione. Poteva essere la Sicilia, la Puglia, Roma, o altrove. Voglio dire che dovunque fossi mi interessava esprimere la felicità del colore. Citando Dorazio posso dire «io sono un colorista» non posso uscire fuori da quella che è la mia origine, dall’amore per il colore che è poi l’amore per la grande tradizione pittorica italiana. E io mi sento molto italiano e vicino ai nostri classici; i vari surrealismi, romanticismi, espressionismi, non mi appartengono.

A.Z.: Questo amore per la tradizione classica è venuta dai tuoi maestri?Nicola Maria Martino, Apeyron, 2003, olio su tela, 100 x 100 cm ciascuno
N.M.M.: Giotto per me è stato un grande maestro, la Sistina michelangiolesca è stata una grande lezione di colore. Roma è stata la mia scuola, per quello che potevo vedere e per quelli che potevo incontrare venendo a Roma contro la volontà della mia famiglia. A Roma c’erano Turcato, Guttuso, Gentilini, Dorazio, Monachesi. L’amore per il colore me lo hanno dato gli artisti di quella generazione. A scuola ho avuto Marcello Avenali e Sante Monachesi. Turcato lo incontravo tutti i giorni in via Ripetta. Forse è lui quello che mi affascinava di più per la sua pittura. Poi, come sai, ho anche contestato Guttuso perché nel ’68 presi una posizione anarchico-libertaria. Monachesi è stato un maestro per la sua follia anarcoide e per il senso di libertà della pittura e allo stesso senso di rigore che sapeva trasmettere, come il concetto di essere artisti in modo totale.

A.Z.: E i compagni di strada?
Nicola Maria Martino, Approdo Jonico, 2002, acrilici su tela, 100 x 80 cmN.M.M.: Sono le occasioni della vita della strada che ti formano e le strade di Roma erano Piazza del Popolo, Via Ripetta, Piazza Colonna. C’erano Festa, Schifano, Angeli, che vedevo di meno. Con De Dominicis ci si incrociava, magari ci si parlava anche, ma con il suo carattere era difficile discutere: ci incontravamo al baretto dell’Accademia lui col suo cappottone nero, io col mio cappottone marrone e ci salutavamo. Con Mimmo Germanà eravamo veramente compagni di percorso. Ma io ero più interessato a quelli che appartenevano alla generazione precedente: Kounellis, Mattiacci, e soprattutto Guccione che mi affascinava per il suo senso della pittura. Ma tra i giovani e i vecchi, preferivo i vecchi: non posso dimenticare l’incontro con De Chirico, Aragon, Afro…..

A.Z.: Insomma, possiamo dire che tu hai più il senso del rapporto maestro-discepolo che del rapporto cameratesco. È per questo che hai deciso di dirigere un’accademia?
N.M.M.: No, per me era piuttosto un’avventura, una scommessa. Dopo Roma e Torino, cioè due accademie storiche, mi piaceva l’idea di dirigere un’accademia di recente istituzione e periferica, sognando l’atmosfera dei miei anni di studio all’accademia. Ci sono riuscito, non ci sono riuscito, è un bilancio che ancora non si può fare, ma sono fatti che non hanno niente a che vedere con il mio lavoro di pittore.

Nicola Maria Martino è nato a Lesina (FG) vive e lavora tra Roma e la Sardegna.

 


 

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