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HACKING
the Borders
I territori della NetArt
di Valentina Tanni
«Il Cyberspazio è fatto di transazioni,
di relazioni e di pensiero puro, disposti come un’onda permanente
nella ragnatela delle nostre comunicazioni. Il nostro è un mondo
che si trova contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ma non
è dove vivono i nostri corpi». Così scriveva John
Perry Barlow, co-fondatore della Electronic Frontier Foundation,
nel lontano 1996, stendendo la prima “Dichiarazione d’indipendenza
del Cyberspazio”. Barlow metteva l’accento sull’immaterialità
della Rete, uno spazio esclusivamente concettuale che non presenta alcuna
analogia con lo spazio fisico, nonostante la presenza del suffisso space.
All’interno di questo non-luogo, creato dal continuo flusso di dati
binari, non ci sono parametri di orientamento di tipo cartesiano: non
esistono l’alto e il basso, la destra e la sinistra, il vicino e
il lontano. Non importa dove l’informazione sia fisicamente immagazzinata:
l’interconnessione di tutti i computer permette la sua presenza
virtuale in qualunque nodo della Rete.
Il World Wide Web è stato, almeno nei suoi primissimi anni di vita,
un grande serbatoio di utopie. Come tutte le grandi rivoluzioni della
cultura umana, anche quella digitale ha portato con sé grandi entusiasmi,
oltre alle naturali resistenze. Comunicare in tempo reale anche tra luoghi
lontanissimi, bypassando ogni intermediario, apparve a intellettuali e
operatori culturali di tutto il mondo una possibilità nuova ed
esaltante. L’effetto sociale più interessante della rivoluzione
telematica è stata la nascita di comunità virtuali su base
internazionale. Persone accomunate da interessi simili, ma dislocate in
punti opposti del pianeta, potevano dialogare e scambiarsi informazioni;
conoscersi e interagire, dando vita a
nuovi gruppi sociali diffusi. La coscienza di abitare un nuovo pianeta,
di formare insieme una nuova cittadinanza – quella del cyberspazio
– si è formata rapidamente tra i navigatori. E la telematica
ha stimolato l’immaginazione degli artisti più di ogni altro
mezzo di comunicazione.
Ma nonostante gli stereotipi creati dai mass media e le teorie utopiche
dei pionieri, le reti non hanno cancellato i confini tra gli Stati e le
culture, né smaterializzato il mondo reale. Internet non uccide
il territorio, non cancella le barriere né le identità nazionali.
Semmai ridefinisce il nostro concetto di spazio e suggerisce un nuovo
modello di geografia: la geografia del network. I nodi si moltiplicano
e “fanno sistema”; gli spostamenti avvengono istantaneamente,
da punto a punto; la rete alimenta lo scambio e la contaminazione.
La Net Art – termine che definisce le sperimentazioni d’artista
su Internet – rappresenta oggi uno dei veicoli più interessanti
di pensiero critico sulla nuova realtà digitale. Le tecnologie
di rete vengono smontate e messe alla prova, discusse e indagate, stimolando
la riflessione sulle ricadute psico-sociali della networked society.
Transnational republic è un progetto nato dall’immaginazione
di un gruppo di artisti tedeschi, guidati da Christian Eckart. Ideato
nel 1996, ma lanciato ufficialmente solo nel 2001, si configura come una
risposta alla tanto discussa globalizzazione, oltre che come una stimolante
utopia internazionalista. I cittadini delle Repubbliche Transnazionali,
che trovano il loro punto di incontro sul sito web omonimo, sono accomunati
non da criteri di origine o nascita, ma dalla condivisione degli stessi
valori. In nome di un unico principio – Il potere è del
singolo e non può essere alienato – i cittadini possono
scegliere di cambiare nazionalità, gestire i propri interessi e
utilizzare una nuova valuta, la Payola, protagonista degli scambi di beni
e servizi tra i cittadini delle Repubbliche Transnazionali.
La riflessione sul territorio e sul diritto di spostamento caratterizza
anche le opere dell’artista inglese Heath Bunting, pioniere della
Net Art europea. Il suo Irational.org è gestito da un
collettivo di persone senza fissa dimora (artisti, scrittori, attivisti,
semplici girovaghi) che, usando il sito come punto di riferimento, riescono
ad interagire tra loro anche spostandosi. La connotazione nomadica del
progetto affascina e fa pensare ad una concretizzazione delle T.a.z. (Temporary
Autonomous Zone) teorizzate da Hakim Bey, oppure, secondo una suggestiva
definizione di Deleuze e Guattari, ad «una macchina da guerra nomade».
Per quanto riguarda l’attività artistica questo fattore acquista
un rilievo eccezionale perché ipotizza e realizza sul campo un
nuovo modo di fare e diffondere arte attraverso una maggiore interazione
tra artista e pubblico e una progressiva liberazione dai condizionamenti
del sistema dell’arte.
L’ultima fatica di Bunting è del 2002 ed è stata commissionata
dalla Tate Gallery. Borderxing Guide contiene la documentazione
di attraversamenti di frontiere avvenuti senza interruzioni da parte della
polizia. I contenuti però possono essere visionati solo collegandosi
alla Rete da una limitata lista di clienti autorizzati, situati in luoghi
da raggiungere fisicamente. Questo progetto sfida apertamente la consueta
visione del Web come luogo senza frontiere, costringendo il fruitore a
confrontarsi con la frustrazione dei confini imposti.
Ci sono luoghi dove i confini sono più visibili che altrove. Uno
di questi è la frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico, segnata
da un muro che corre lungo la spiaggia di Tijuana fino a gettarsi nell’oceano.
Negli scorsi due anni è stato lo scenario di Borderhack!,
grande camping allestito proprio al confine tra “il terzo mondo
e il primo mondo”. L’iniziativa fa parte della serie di eventi
intitolata kein mensch ist illegal (nessuno è illegale),
nata nel 1997 e inauguratasi l’anno seguente al confine tra Germania
e Polonia. Borderhack! comprende net.art, hacktivism, mostre
di fotografia, cinema di confine, connessioni ISDN, conferenze e workshops.
Il tema dell’immigrazione clandestina viene affrontato anche dall’albanese
Gentian Shkurti, che sceglie la metafora del videogame. La sua opera si
intitola Go West ed è un videogioco in 3D in cui il protagonista
ha una singolare missione: quella
di raggiungere le coste italiane sfuggendo alla Guardia di Finanza. «L’immigrazione
clandestina sembra essere il solo modo per soddisfare l’aspirazione
del popolo albanese di integrarsi in Europa,» ha dichiarato Shkurti
«tutto questo mi sembra quasi un gioco da computer, programmato
in modo da non farcela mai. Il gioco Go West è un invito
a provare, aperto a tutti». Una riflessione caustica sul mercato
dell’arte, e in modo particolare sulla posizione marginale dell’Est
Europeo in tale ambito, è stata realizzata dal collettivo Apsolutno,
fondato a Novi Sad nel 1993. The Absolute Sale (1997-2001), presentato
anche durante la scorsa edizione di Manifesta, simula un’asta telematica.
L’utente può scegliere l’opera da comprare selezionando
un Paese dell’Est Europa e un artista
della relativa nazionalità. Le operazioni si svolgono come in un
normale sito di aste on line, ma l’acquisto viene continuamente
rimandato; la transazione finale si allontana e diventa impossibile. Secondo
gli autori si tratta dell’applicazione al mercato dell’arte
della posizione che ricoprono quei Paesi all’interno della Comunità
Europea, che non fa che posporre la loro reale integrazione.
Per i Land-artists degli anni Sessanta l’attraversamento
del territorio e l’atto stesso del camminare erano il fulcro dell’operazione
artistica. Quando il viaggio si arricchiva di un vero e proprio intervento
sulla natura, questo era percepibile solo grazie ad una visione aerea.
Ricordate gli interventi su laghi, isole e distese desertiche di artisti
come Denis Oppenheim, Robert Smithson, Michael Heizer? La loro eredità
è stata raccolta e “aggiornata” alla luce delle nuove
tecnologie da una coppia di artisti inglesi – Jeremy Wood and Hugh
Pryor – che viaggiano intorno al globo a piedi, in macchina e in
aereo registrando i propri spostamenti con un ricevitore GPS (Global
Positioning System). I loro percorsi sono studiati per tracciare
dei disegni sulle mappe che rilevano i loro spostamenti, il più
noto dei quali è un elefante, realizzato camminando per le strade
di Brighton.
Usa il GPS per tracciare i movimenti anche Vopos, ultima release del collettivo
di net artisti italiani 0100101110101101.ORG.
Con il suo uso simultaneo del Web, dei telefoni cellulari e dei sistemi
satellitari, si configura come un esperimento di “arte delle telecomunicazioni”
a 360 gradi. Quest’opera spinge a riflettere sul controverso tema
del controllo e della sorveglianza che le nuove tecnologie rendono possibili.
I due componenti di 01.org indossano, 24 ore su 24, un trasmettitore GPS
che invia segnali, tramite un telefono cellulare, al server del loro sito.
In questo modo è possibile, consultando una cartina digitale aggiornata
in tempo reale, conoscere in ogni momento l’esatta posizione dei
due sul pianeta e visualizzare il percorso che il cellulare sotto controllo
ha compiuto.
Lavorano sul tessuto della città l’ungherese Miklòs
Erhardt e lo scozzese Dominik Hislop che, con Re:Route, hanno
tracciato una mappa urbana di Torino dal punto di vista degli immigrati,
clandestini e non, arrivati da poco in città. Tra il dicembre del
2001 e l’aprile del 2002 i due hanno contattato circa 30 stranieri
(provenienti da Bangladesh, Bosnia, Cina, Congo, Ecuador, Etiopia, Kenya,
Kurdistan, Moldova, Marocco, Nigeria, Romania, Senegal, Sierra Leone,
Somalia, Tunisia, Yugoslavia) e hanno chiesto loro di “raccontare”
la città dal proprio punto di vista e di scattare fotografie dei
luoghi per illustrare il percorso delineato tramite la mappatura. Tutte
le “mappe mentali” sono state poi riunite sul sito web ed
esposte al pubblico in alcune grandi installazioni. Re:Route
evidenzia
le differenti percezioni che uno stesso luogo può suscitare e ipotizza
sarcasticamente una «nuova flânerie del ventunesimo
secolo», che non ha più come protagonista il dandy aristocratico
in cerca di esperienze, ma l’immigrato spaesato in una città
sconosciuta e troppo spesso ostile.
Ed è ancora una volta Torino – che durante l’ultima
Biennale dei Giovani Artisti ha accolto molti progetti web – il
punto di partenza di una mappa interattiva. Si tratta di Torinorama,
progetto web della coppia David Boardman e Paolo Gerbaudo. Sul sito è
possibile intraprendere un viaggio nell’orama ovvero “un
sistema collaborativo e democratico per la creazione di una rappresentazione
collettiva della città”. Immagini, poesie, filmati e racconti
vanno a formare un collage dinamico e non lineare dell’ambiente
urbano. Ogni frammento è una lessìa e ogni lessìa
è collegata alle altre tramite un link, individuabile sulla mappa
generale, a cui il visitatore può contribuire in prima persona.
«Qui non si tratta di attraversare, non di ‘seguire’
come si è soliti dire, il senso di un film, libro, fumetto o di
un’altra, ma di scegliere da che parte si vuole passare dentro l’infosfera.
Finora vi hanno offerto corse dirette in bus, treno, aereo. Noi vi proponiamo
peregrinazioni imprevedibili. Viaggi senza meta e poco bagaglio».
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