Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo

Ziqqurat n°8
Sommario

HACKING the BordersMiklòs Erhardt e Dominik Hislop, Re:Route, 2002, immagine dal progetto
I territori della NetArt
di Valentina Tanni

«Il Cyberspazio è fatto di transazioni, di relazioni e di pensiero puro, disposti come un’onda permanente nella ragnatela delle nostre comunicazioni. Il nostro è un mondo che si trova contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ma non è dove vivono i nostri corpi». Così scriveva John Perry Barlow, co-fondatore della Electronic Frontier Foundation, nel lontano 1996, stendendo la prima “Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio”. Barlow metteva l’accento sull’immaterialità della Rete, uno spazio esclusivamente concettuale che non presenta alcuna analogia con lo spazio fisico, nonostante la presenza del suffisso space.
All’interno di questo non-luogo, creato dal continuo flusso di dati binari, non ci sono parametri di orientamento di tipo cartesiano: non esistono l’alto e il basso, la destra e la sinistra, il vicino e il lontano. Non importa dove l’informazione sia fisicamente immagazzinata: l’interconnessione di tutti i computer permette la sua presenza virtuale in qualunque nodo della Rete.
Il World Wide Web è stato, almeno nei suoi primissimi anni di vita, un grande serbatoio di utopie. Come tutte le grandi rivoluzioni della cultura umana, anche quella digitale ha portato con sé grandi entusiasmi, oltre alle naturali resistenze. Comunicare in tempo reale anche tra luoghi lontanissimi, bypassando ogni intermediario, apparve a intellettuali e operatori culturali di tutto il mondo una possibilità nuova ed esaltante. L’effetto sociale più interessante della rivoluzione telematica è stata la nascita di comunità virtuali su base internazionale. Persone accomunate da interessi simili, ma dislocate in punti opposti del pianeta, potevano dialogare e scambiarsi informazioni; conoscersi e interagire, dando vita Jefferson (Democratic Republic of Congo), Re:Route, 2002, installazione, ex chiesa di San Mattia, Bolognaa nuovi gruppi sociali diffusi. La coscienza di abitare un nuovo pianeta, di formare insieme una nuova cittadinanza – quella del cyberspazio – si è formata rapidamente tra i navigatori. E la telematica ha stimolato l’immaginazione degli artisti più di ogni altro mezzo di comunicazione.
Ma nonostante gli stereotipi creati dai mass media e le teorie utopiche dei pionieri, le reti non hanno cancellato i confini tra gli Stati e le culture, né smaterializzato il mondo reale. Internet non uccide il territorio, non cancella le barriere né le identità nazionali. Semmai ridefinisce il nostro concetto di spazio e suggerisce un nuovo modello di geografia: la geografia del network. I nodi si moltiplicano e “fanno sistema”; gli spostamenti avvengono istantaneamente, da punto a punto; la rete alimenta lo scambio e la contaminazione.
La Net Art – termine che definisce le sperimentazioni d’artista su Internet – rappresenta oggi uno dei veicoli più interessanti di pensiero critico sulla nuova realtà digitale. Le tecnologie di rete vengono smontate e messe alla prova, discusse e indagate, stimolando la riflessione sulle ricadute psico-sociali della networked society.
Transnational republic è un progetto nato dall’immaginazione di un gruppo di artisti tedeschi, guidati da Christian Eckart. Ideato nel 1996, ma lanciato ufficialmente solo nel 2001, si configura come una risposta alla tanto discussa globalizzazione, oltre che come una stimolante utopia internazionalista. I cittadini delle Repubbliche Transnazionali, che trovano il loro punto di incontro sul sito web omonimo, sono accomunati non da criteri di origine o nascita, ma dalla condivisione degli stessi valori. In nome di un unico principio – Il potere è del singolo e non può essere alienato – i cittadini possono scegliere di cambiare nazionalità, gestire i propri interessi e utilizzare una nuova valuta, la Payola, protagonista degli scambi di beni e servizi tra i cittadini delle Repubbliche Transnazionali.
La riflessione sul territorio e sul diritto di spostamento caratterizza anche le opere dell’artista inglese Heath Bunting, pioniere della Net Art europea. Il suo Irational.org è gestito da un collettivo di persone senza fissa dimora (artisti, scrittori, attivisti, semplici girovaghi) che, usando il sito come punto di riferimento, riescono ad interagire tra loro anche spostandosi. La connotazione nomadica del progetto affascina e fa pensare ad una concretizzazione delle T.a.z. (Temporary Autonomous Zone) teorizzate da Hakim Bey, oppure, secondo una suggestiva definizione di Deleuze e Guattari, ad «una macchina da guerra nomade».
Per quanto riguarda l’attività artistica questo fattore acquista un rilievo eccezionale perché ipotizza e realizza sul campo un nuovo modo di fare e diffondere arte attraverso una maggiore interazione tra artista e pubblico e una progressiva liberazione dai condizionamenti del sistema dell’arte.
L’ultima fatica di Bunting è del 2002 ed è stata commissionata dalla Tate Gallery. Borderxing Guide contiene la documentazione di attraversamenti di frontiere avvenuti senza interruzioni da parte della polizia. I contenuti però possono essere visionati solo collegandosi alla Rete da una limitata lista di clienti autorizzati, situati in luoghi da raggiungere fisicamente. Questo progetto sfida apertamente la consueta visione del Web come luogo senza frontiere, costringendo il fruitore a confrontarsi con la frustrazione dei confini imposti.
Ci sono luoghi dove i confini sono più visibili che altrove. Uno di questi è la frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico, segnata da un muro che corre lungo la spiaggia di Tijuana fino a gettarsi nell’oceano. Negli scorsi due anni è stato lo scenario di Borderhack!, grande camping allestito proprio al confine tra “il terzo mondo e il primo mondo”. L’iniziativa fa parte della serie di eventi intitolata kein mensch ist illegal (nessuno è illegale), nata nel 1997 e inauguratasi l’anno seguente al confine tra Germania e Polonia. Borderhack! comprende net.art, hacktivism, mostre di fotografia, cinema di confine, connessioni ISDN, conferenze e workshops.
Il tema dell’immigrazione clandestina viene affrontato anche dall’albanese Gentian Shkurti, che sceglie la metafora del videogame. La sua opera si intitola Go West ed è un videogioco in 3D in cui il protagonista ha una singolare missione: Gentian Shkurti, Go west, 2000, videogameGentian Shkurti, Go west, 2000, videogamequella di raggiungere le coste italiane sfuggendo alla Guardia di Finanza. «L’immigrazione clandestina sembra essere il solo modo per soddisfare l’aspirazione del popolo albanese di integrarsi in Europa,» ha dichiarato Shkurti «tutto questo mi sembra quasi un gioco da computer, programmato in modo da non farcela mai. Il gioco Go West è un invito a provare, aperto a tutti». Una riflessione caustica sul mercato dell’arte, e in modo particolare sulla posizione marginale dell’Est Europeo in tale ambito, è stata realizzata dal collettivo Apsolutno, fondato a Novi Sad nel 1993. The Absolute Sale (1997-2001), presentato anche durante la scorsa edizione di Manifesta, simula un’asta telematica. L’utente può scegliere l’opera da comprare selezionando un Paese dell’Est Europa e un artistaAssociation Apsolutno, The Absolute Sale, 1997-2001, progetto web della relativa nazionalità. Le operazioni si svolgono come in un normale sito di aste on line, ma l’acquisto viene continuamente rimandato; la transazione finale si allontana e diventa impossibile. Secondo gli autori si tratta dell’applicazione al mercato dell’arte della posizione che ricoprono quei Paesi all’interno della Comunità Europea, che non fa che posporre la loro reale integrazione.
Per i Land-artists degli anni Sessanta l’attraversamento del territorio e l’atto stesso del camminare erano il fulcro dell’operazione artistica. Quando il viaggio si arricchiva di un vero e proprio intervento sulla natura, questo era percepibile solo grazie ad una visione aerea. Ricordate gli interventi su laghi, isole e distese desertiche di artisti come Denis Oppenheim, Robert Smithson, Michael Heizer? La loro eredità è stata raccolta e “aggiornata” alla luce delle nuove tecnologie da una coppia di artisti inglesi – Jeremy Wood and Hugh Pryor – che viaggiano intorno al globo a piedi, in macchina e in aereo registrando i propri spostamenti con un ricevitore GPS (Global Positioning System). I loro percorsi sono studiati per tracciare dei disegni sulle mappe che rilevano i loro spostamenti, il più noto dei quali è un elefante, realizzato camminando per le strade di Brighton.
Usa il GPS per tracciare i movimenti anche Vopos, ultima release del collettivo di net artisti italiani 0100101110101101.ORG, Vopos, 2002, progetto web0100101110101101.ORG. Con il suo uso simultaneo del Web, dei telefoni cellulari e dei sistemi satellitari, si configura come un esperimento di “arte delle telecomunicazioni” a 360 gradi. Quest’opera spinge a riflettere sul controverso tema del controllo e della sorveglianza che le nuove tecnologie rendono possibili. I due componenti di 01.org indossano, 24 ore su 24, un trasmettitore GPS che invia segnali, tramite un telefono cellulare, al server del loro sito. In questo modo è possibile, consultando una cartina digitale aggiornata in tempo reale, conoscere in ogni momento l’esatta posizione dei due sul pianeta e visualizzare il percorso che il cellulare sotto controllo ha compiuto.
Lavorano sul tessuto della città l’ungherese Miklòs Erhardt e lo scozzese Dominik Hislop che, con Re:Route, hanno tracciato una mappa urbana di Torino dal punto di vista degli immigrati, clandestini e non, arrivati da poco in città. Tra il dicembre del 2001 e l’aprile del 2002 i due hanno contattato circa 30 stranieri (provenienti da Bangladesh, Bosnia, Cina, Congo, Ecuador, Etiopia, Kenya, Kurdistan, Moldova, Marocco, Nigeria, Romania, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Tunisia, Yugoslavia) e hanno chiesto loro di “raccontare” la città dal proprio punto di vista e di scattare fotografie dei luoghi per illustrare il percorso delineato tramite la mappatura. Tutte le “mappe mentali” sono state poi riunite sul sito web ed esposte al pubblico in alcune grandi installazioni. Re:Route . Transnational Republic, 2002evidenzia le differenti percezioni che uno stesso luogo può suscitare e ipotizza sarcasticamente una «nuova flânerie del ventunesimo secolo», che non ha più come protagonista il dandy aristocratico in cerca di esperienze, ma l’immigrato spaesato in una città sconosciuta e troppo spesso ostile.
Ed è ancora una volta Torino – che durante l’ultima Biennale dei Giovani Artisti ha accolto molti progetti web – il punto di partenza di una mappa interattiva. Si tratta di Torinorama, progetto web della coppia David Boardman e Paolo Gerbaudo. Sul sito è possibile intraprendere un viaggio nell’orama ovvero “un sistema collaborativo e democratico per la creazione di una David Boardman e Paolo Gerbaudo, Torinorama, 2003, sito webrappresentazione collettiva della città”. Immagini, poesie, filmati e racconti vanno a formare un collage dinamico e non lineare dell’ambiente urbano. Ogni frammento è una lessìa e ogni lessìa è collegata alle altre tramite un link, individuabile sulla mappa generale, a cui il visitatore può contribuire in prima persona. «Qui non si tratta di attraversare, non di ‘seguire’ come si è soliti dire, il senso di un film, libro, fumetto o di un’altra, ma di scegliere da che parte si vuole passare dentro l’infosfera. Finora vi hanno offerto corse dirette in bus, treno, aereo. Noi vi proponiamo peregrinazioni imprevedibili. Viaggi senza meta e poco bagaglio».


 

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