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Ritmi del Tempo
intervista a
Sonia Rosa Natante
di Mariolina Cosseddu
M.C.: La tua giovane
età e il tuo spirito giocoso e irriverente, nascondono un passato
di tutto rispetto, una formazione ben strutturata e una decisa, quasi
innata, vocazione all’arte. È cosi?
S.R.N.: Fin da bambina ho avuto le idee chiare, cioè
avvicinarmi al mondo dell’arte, così ho frequentato l’Istituto
d’Arte di Sassari, quindi l’Accademia. Ma a 14 anni, poi,
ho cominciato a suonare la batteria e per un certo periodo ho fatto parte
di un gruppo musicale: posso dire di essere stata prima una musicista
e poi un’artista visiva. In realtà, mentre in un primo momento
vedevo le due attività separate, più tardi ho trovato il
modo di sentirle unite e concordi e il mezzo di raccordo l’ho facilmente
individuato nella dimensione “tempo”.
M.C.: Parliamo più diffusamente di questa
dimensione che mi pare essere il sostrato portante del tuo lavoro, passato
e recente e, se non sbaglio, sostenuto da buone letture e da una ricerca
teorica che accompagna costantemente l’attività pratica.
S.R.N.:
La concezione del tempo l’ho assimilata prima di tutto dalla musica
e, nella mia esperienza, è diventata un’entità insieme
fisica, sonora ed interiore. L’idea del tempo, che approfondisco
con saggi di filosofia e psicologia musicale, si concretizza, per me,
nella scansione ritmica delle parti, nella ordinata divisione delle fasi,
nell’armonia opposta dei contrari. Così com’è
possibile leggere nella mia prima personale realizzata a Sassari nel 1998
e intitolata significativamente Avanti veloce.
M.C.: Quel lavoro, che ci consente di ricostruire
il tuo percorso, è emblematico dei lavori futuri ed è sicuramente
la più compiuta metafora della complessità di relazioni
che la visione temporale racchiude e che tu cerchi di materializzare nelle
installazioni. Come definiresti quell’operazione su cui sei ritornata
più tardi citandola ironicamente in un intervento al Centro Kairos?
S.R.N.: Con il sale e il carbone, elementi naturali carichi
di forte simbolismo, che rappresentano per me l’antitesi tra la
sapienza e l’umiltà, il caldo e il freddo, la conservazione
e la corrosione, ho costruito, su un vasto pavimento, una gigantesca scacchiera
con cui, come nella musica, ho lavorato su un ritmo regolare e su timbri
opposti e apparentemente contradditori. È stato il pubblico, invitato
a calpestare quello spazio geometricamente composto, ad unire e trasformare
i materiali giungendo ad una nuova visione e definizione. Io stessa sono
presente con il mio corpo colorato di rosso mentre attraverso velocemente
l’ambiente, e con la mia musica assordante che invade lo spazio
e che proviene da una botola dove ho piazzato la batteria.
M.C.: Così musica e arte visiva si fondono
e tu diventi parte integrante dell’evento aggiungendo il colore
del tuo corpo al binomio degli elementi di base e giocando così
sul rapporto tra rinascita e morte. Ma il pubblico come ha reagito all’invito
di distruggere ciò che tu avevi pazientemente creato?
S.R.N.: Intanto niente si è distrutto ma solo
trasformato e il vero protagonista è diventato proprio il pubblico
che, appropriandosi dello spazio, lo ha vissuto pienamente decidendo se
ascoltare la musica d’acqua che proveniva dalla mia batteria. Ho
servito tappi per le orecchie in modo che potesse scegliere se accentuare
il senso del tatto o dell’udito, in ogni caso vivere la temporalità
in maniera personale.
M.C.: In quell’occasione hai anche tagliato
i tuoi capelli, evento che mi pare tu compia ogni tre anni. Vuoi spiegarci
perché e che significato gli attribuisci?
S.R.N.: Da undici anni, con scadenza triennale, il 27
maggio, dopo aver fatto allungare i capelli, li raso e, seguendo un mio
personale gioco numerico, ripeto il rito che per me ha valore di rinascita.
Infatti, prima di tagliarli, li tingo di grigio, invecchiando simbolicamente,
e poi, rasati, conservo il materiale ottenuto con cui prima o poi sogno
di fare una mostra di soli miei capelli. È, dunque, un momento
magico, legato comunque al tempo perché registro il trascorrere
degli anni in questa maniera.
M.C.: Nei lavori successivi si riafferma sia il principio
di contraddizione sia una dimensione concettuale che privilegia il silenzio
e l’assenza. Vuoi sciogliere questo nodo che rende spesso le tue
opere fredde e lontane da una ricezione più coinvolgente?
S.R.N.: Il mio è un lavoro soprattutto intellettivo,
che conosce lunghe fasi di gestazione, mesi di elaborazione mentale che
producono composizioni fatte quasi di getto, realizzate con immediatezza
per trasmettere naturalezza e spontaneità. È questo aspetto
che molti mi imputano, poiché vedono il versante rigorosamente
progettuale e trascurano invece la componente manuale, sensoriale e tattile,
che rende il lavoro più complesso di quanto appaia.
M.C.: Emblematico del tuo universo mi pare l’intervento
compiuto nel 2000 al circolo Borderline di Sassari dal suggestivo titolo
Io senza trucco. Una sorta di autoritratto?
S.R.N.: In realtà è qualcosa di più
di un autoritratto perché l’installazione, che si componeva
di 12 calchi del mio viso, è stata ottenuta da altrettante maschere
di gesso stampate una per una sul mio volto, così da risultare
ciascuna caratterizzata da una diversa espressione. Le ho, poi, disposte
su una vecchia parete come specchiandosi l’una con l’altra
e, allo stesso tempo, differenziandosene nettamente. Il lavoro mantiene
qualcosa di non rifinito, di artigianale, quasi di grossolano, che per
me è una nota di valore irrinunciabile.
M.C.: L’incontro di materiali particolari come
il vetro e il ferro, il sale e il carbone, l’acqua e la musica,
oltre la forte densità simbolica che contengono, vengono utilizzati
da te con ulteriori intenti e con un forte effetto straniante. Penso a
Proxima al Centro Kairos, ai lavori in mostra a Berchidda per
il PAV nel 2000 e nel 2002, dove più esplicitamente hai
dato forma al tempo ricorrendo alla clessidra.
S.R.N.: I materiali hanno una memoria che il tempo non
consuma ma trasforma e quando li abbino in una composizione ne studio
la loro possibile interazione nonostante l’antitesi apparente. Sono
attratta dalle forze opposte, dal bene come dal male, che coniugo su giochi
di pieni e di vuoti, di suoni e di silenzi, di ritmi e pause, come in
una creazione musicale. Ti ricordi a Berchidda, per Arte e design,
ho disposto 25 contenitori di vetro, 25 come i miei anni, e dentro vi
ho posto un petalo di rosa su cui ho deposto un pezzetto di granito. L’idea
della leggerezza effimera dei petali che sorregge la dura prepotenza del
granito mi fa impazzire, solo l’arte può pensare tanto, non
certo la natura!
M.C.: Il principio di contraddizione che, abbiamo
detto, connota questi lavori è, senza dubbio, espressione di un
tuo vissuto, di una tua particolare inclinazione ad affermare e negare
contemporaneamente.
S.R.N.: Sì, certo, è parte integrante di
me stessa; io mi riconosco in questa dimensione, l’unica che mi
assicura piena libertà e, allo stesso tempo, consapevolezza della
mia interiorità, che è poi il contrasto solo apparente tra
un’elaborazione interiore, razionale, lunga e travagliata e una
messa in opera istantanea ed immediata.
M.C.: Nella tua esistenza e nella tua attività
artistica ha sicuramente avuto un peso non lieve il problema al cuore,
cioè, la tachicardia parossistica che hai risolto recentemente
con un intervento e che ha condizionato il rapporto con te stessa e con
gli altri. Ti senti pronta a parlarne o è meglio rimuoverlo per
sempre?
S.R.N.: Adesso sì, sento di poterlo affrontare
dialogicamente perché il ritmo accelerato del mio cuore, che adesso
hanno riportato alla normalità, io l’ho vissuto non drammaticamente
ma come un dato di me stessa, tanto che ora mi sento quasi impoverita
da quel suono che rimbombava dentro di me e che mi dava la sensazione
di vivere intensamente anche se, quando il cuore impazziva, dovevo dare
una pausa alla mia vita e sottrarmi al lavoro. Ma era, quello, un modo
per ascoltarmi, per entrare in contatto fisico e mentale. Ero io a controllare
quei battiti e, liberatami dai farmaci, ad esercitare una precisa volontà
su un cuore che, piano piano, mi obbediva mentre sentivo di riacquistare
il ritmo degli altri. Il cuore sarà al centro di alcuni lavori
futuri di cui sto, per ora, elaborando i progetti. Il cuore che per me
è l’anima.
M.C.: Più volte hai detto del piacere che
ti deriva dal lavorare con gli altri, dalle collaborazioni e dai progetti
collettivi.
S.R.N.: Per me è davvero esaltante lavorare insieme
ad altri artisti, è un arricchimento che mi consente di mettermi
in discussione e riflettere sulle mie capacità e, allo stesso tempo,
conoscere altre esperienze ed altri linguaggi. Le collettive per me sono
delle grandi feste, dei banchetti, dove ciascuno porta una pietanza e
insieme si consuma di sé e degli altri e tutto diventa di tutti.
M.C.: Quali prossimi progetti, a media e a lunga
scadenza?
S.R.N.: Due, importantissimi: uno più vicino,
a Genova, grazie all’interesse di Giuseppe Spagnulo che mi ha invitato
ad un grande progetto teso a riqualificare una vecchia ferrovia in disuso
e per cui io ho già preparato una scultura permanente in ferro,
acciaio e rame che risuona al passaggio della folla e che, come uno strumento
musicale, può essere azionato secondo un ritmo alterno e costante.
L’altro progetto lo sto mettendo a punto con Barbara Ardau, una
collega con cui in questo momento sto condividendo una felice collaborazione.
M.C.: Chi sono stati i tuoi maestri e ce n’è
qualcuno in particolare a cui sei legata?
S.R.N.: Devo molto ad una persona straordinaria quale
è Ghislen Mayaud, docente di decorazione all’Accademia di
Lecce.
M.C.: Che cosa ti aspetti dal tuo lavoro e come lo
vedi dalla nuova prospettiva di un cuore che batte al ritmo degli altri?
S.R.N.: Il desiderio è che tutto il mio lavoro
abbia una continuità interna, dove ogni fase sia solo un tassello
di una grande ragnatela; io credo che nessuna opera sia veramente finita
ma prosegua nelle altre e con le altre si completi. Vorrei che questo
cammino potesse rispecchiare la mia nuova condizione di “regolarità
di frequenza”, lasciando però anche spazio all’irragionevolezza
e al sogno.
Sonia Rosa Natante (Sassari, 1974) vive e lavora a Sassari.
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