Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo


Ziqqurat N°7
sett/dic 2002


Sommario

Editoriale
di Giannella Demuro

  • Il fatto che un autore, nello specifico Angela Vettese, abbia ritenuto di dover intitolare la sua ultima pubblicazione A cosa serve l’arte contemporanea, al di là delle esigenze di mercato e oltre ad essere indicativo delle attese del pubblico, è una conferma ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, che il dibattito sull’arte e sul suo ruolo in relazione all’individuo e al sistema sociale sia attuale oggi, forse ancora più di ieri. Molti i segnali in questo senso, forti soprattutto quelli che arrivano dal sempre crescente numero di artisti provenienti da regioni a margine del cosiddetto mondo occidentale, segnali che ci inducono ad interrogarci ancora sull’utilità e sulla funzione dell’arte.
    L’appartenenza ad una periferia, la Sardegna, ci porta, tuttavia, ad orientare la riflessione proprio su quel margine cui si alludeva in precedenza.
    Se l’arte visiva, come si afferma da più parti, partecipa con un suo specifico statuto all’esperienza collettiva, grazie alla capacità di intuire e cogliere i fermenti e i cambiamenti della società ancor prima che essi si manifestino nella loro compiutezza, offrendo uno strumento di lettura del tempo, forse meno preciso - proprio perché percorre strade meno razionali - di quanto possano offrire le scienze storiche e filosofiche, ma più puntuale ed incisivo rispetto ad esse, ci chiediamo quale sia l’arte che assolve questa funzione e quali i requisiti che l’artista deve possedere.
    Esiste, infatti, un art system, con le sue logiche di mercato e di potere, il giro delle gallerie, il valzer delle mostre e delle presenze, gli artisti di tendenza e le mode onnivore e, accanto ad esso, un’arte delle periferie, dove periferie, naturalmente, non sono soltanto quelle geografiche, ma tutte quelle aree a margine che producono un’arte sotterranea, fatta di artisti che difficilmente riusciranno ad imporre la loro presenza all’interno del sistema sia per la difficoltà di accedere ad esso, sia perché comunque estranei e non contenibili nelle logiche del mercato.
    Ma se una delle prerogative dell’arte sembra essere quella di disvelare i meccanismi del sistema, come possono gli artisti riconosciuti, che in un sistema simile, quello dell’arte, sono entrati rispondendo alle sue implacabili logiche, essere in grado di opporsi ad esso? Quanto questi stessi artisti corrono il rischio di essere fagocitati ed integrati? È possibile che l’arte, ufficializzandosi, possa diventare meno incisiva e capace di adempiere al suo compito?
    È lecito, dunque, chiedersi se in qualche modo non abbia un senso ben preciso proporre, come in questo numero, non solo la presenza di artisti provenienti da aree geograficamente periferiche, ma anche artisti underground, pressoché sconosciuti, che possiedono originalità e capacità creative a volte anche superiori a quelle di molti artisti inseriti nel sistema.
    La speranza, certo, è che l’arte, anche la più ufficializzata, non possa mai essere totalmente ingabbiata, ma certamente ancora meno potrà esserlo l’arte sotterranea proprio perché è lo stare al margine che preserva, ancora, lo spirito e la libertà dell’artista.
    Riconoscere e dare visibilità a questo spirito e alle espressioni artistiche che esso produce diventa sempre più necessario, soprattutto in un momento in cui - come da tempo accade in Sardegna e non solo - il ritorno di politiche culturali conservatrici, ed il conseguente ostracismo delle istituzioni pubbliche nei confronti dell’arte contemporanea tenta di ostacolare e minare la portata destabilizzante e trasformatrice della sperimentazione visiva.

 

Ultimo numero ° News ° Archivio ° Chi siamo ° Contatti ° Sponsor ° Link