Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo


Ziqqurat n°7
Sommario

Lorenza Lucchi BasiliLorenza Lucchi Basili, Francoforte - Spazio trentaquattro, 2002, stampa plotter su kapa sound (colore), 150 x 100 cm
architetture del desiderio
in mostra a Villanova

di Mariolina Cosseddu

Fotografare una forma architettonica decontestualizzata e sublimata equivale non a fotografare architetture, ma a compiere una precisa e inequivocabile operazione estetica. Mai, infatti, come nelle foto di Lorenza Lucchi Basili, l’architettura è stata tanto lontana da se stessa e vicina ad un’aerea forma scultorea o ad un luminoso impianto pittorico.
Le immagini di Lorenza Lucchi Basili non riflettono la realtà mimetica, non sono testimoni di situazioni documentabili, non denunciano fenomeni di disagio o di malessere; in pratica non sono assimilabili a nessuno dei generi che vedono protagonista indiscusso il mezzo fotografico nella ricerca artistica contemporanea.
Eppure il processo di rappresentazione è di pura resa fotografica, fatto di scatti e di sola intenzionalità, senza mai manipolare l’immagine, come conferma l’artista stessa. La visione fittizia è perfettamente riportabile ad un dato concreto, soltanto «resa non riconoscibile per stimolare una nuova modalità di visione, per vedere ciò che è oltre la realtà percepibile».
Aree portuali, ponti, piloni, aeroporti, capannoni industriali, segni tangibili del presente, sono colti per frammenti, dettagli, scorci audaci o insolite angolazioni che snaturano la forma convenzionale del manufatto costruito e la trasformano in ideali condizioni di natura metafisica: superfici di linee in fuga prospettica, sfiorate da luci radenti si susseguono in spazi drammaticamente vuoti dove si dibatte l’ombra fitta e corposa sospinta dall’irradiarsi dei campi luminosi.
 Lorenza Lucchi Basili, New York - Spazio trentadue, 2001, stampa plotter, frame da video, 80 x 120 cmSi genera così, all’interno del sistema bipolare di bianco e nero (raramente fa la sua comparsa il colore), un conflitto di forze in tensione che sprigiona vitalità ed appassionante suggestione pur nella completa astrazione dell’immagine ottenuta. Questa si definisce in forme di assoluta purezza, cristalli di luce, monoliti verticali o lame metalliche che attraversano, fendendoli, territori oscuri e proseguono in spazi inafferrabili.
È chiaro, allora, che l’intento della Lucchi Basili vada oltre le sue stesse affermazioni («Il mio interesse è per l’architettura») e faccia, invece, dell’architettura, un semplice pretesto per una introspezione più profonda ed ambiziosa: «il desiderio di indagine sull’interiorità umana».
Se, infatti, accettiamo quanto lei stessa lucidamente scrive «sembra paradossale ma l’intuizione della mia fascinazione per l’architettura nasce dalla convinzione che esista un preciso legame tra l’uomo e ciò che costruisce, tra il suo vissuto psicologico, interiore, e il mondo artificiale che crea e di cui si circonda», se, dicevo, partiamo da questo assunto, dovremo leggere, nelle sue foto, una dimensione intima, esoterica, che affonda le radici nell’«inconscio del nostro sentire» e non si svela se non nella memoria e nell’immaginario poetico. Giungere a questo stadio di comunicazione significa davvero travalicare i dati fenomenici ed immergersi in uno stadio di pura visionarietà. Significa dimenticare che quegli oggetti rarefatti e luminosi sono parte concreta dell’esistenza quotidiana; sono, in definitiva, continue epifanie di una realtà rivelata da una percezione acuita e straniata.
L’opera diventa così una soglia da attraversare e di cui sentire il respiro profondo e vibrante in un’esperienza puramente spirituale perché resa del tutto libera da riferimenti oggettivi.
Se si vuole, il processo conoscitivo che propone la Lucchi Basili è prossimo a quello teorizzato da James Joyce che, riprendendo l’estetica di San Tommaso (che, a sua volta, definiva il grado supremo della bellezza con il termine di “claritas”), traduce quel termine con “radiance”, potere radiante. Le cose ci appaiono solitamente rivestite di una scorza impenetrabile che, solo in alcuni momenti privilegiati, lasciano intravedere la loro natura segreta e celata.
«In quel momento - scrive Joyce nello Stephen Hero - l’anima della cosa, la sua identità balzano verso di noi, fuori del velo dell’apparenza. L’anima dell’oggetto più comune ci appare radiante. L’oggetto compie la sua epifania.»
 Lorenza Lucchi Basili, Parigi - Spazio diciannove, 1999, stampa baritata su alluminio (bn), tre elementi, 80 x 120 cmSignificativo il momento in cui Stephen spiega ad un amico come l’orologio della Dogana, da semplice «pezzo dell’ammobiliamento di una strada di Dublino», si trasformi, col suo quadrante, in un occhio spirituale che fruga nel buio.
Né diversamente funzionano le cosiddette “intermittenze del cuore” di Marcel Proust, il cui potere manifestante scopre una seconda realtà più profonda e più vera di quella vistosamente leggibile nella semplice apparenza delle cose.
Così come nel celebre episodio dei campanili di Martinville che, visti al sole del tramonto, procurano «quel piacere particolare che non rassomiglia a nessun altro» e che, formulato in parole nella mente dello scrittore, rappresenta la ragione stessa e il motivo conduttore della pagina scritta. L’epifania, dunque, come atto fondante la rappresentazione artistica, senza la quale non può prodursi conoscenza.
Così nelle austere, essenziali ed abbaglianti visioni della Basili, che fa della forma architettonica «la chiave per leggere un codice cifrato che si nasconde nel visibile e che l’abitudine ci porta a non guardare più veramente; ma la forma può abbandonare la funzione: una scala non è più una scala ma un’esplosione strutturale nello spazio, un elemento che pur restando fermo sprigiona energia cinetica come se si muovesse in una danza».
Tali ci sono apparse le immagini della Lucchi Basili nella mostra al Palatu ’e sas Iscolas di Lorenza Lucchi Basili, Londra - Spazio ventotto, 2001, stampa baritata su alluminio (bn), 100 x 150 cmVillanova Monteleone che coraggiosamente ha proposto un lavoro certo non facile e comunque singolare rispetto alle rassegne fotografiche da tempo avviate.
Nei grandi plotter che animavano l’esposizione si respirava un’atmosfera labirintica, un senso di vertigine emanato dalle forme severe e ritmicamente ascensionali che, nella ripetizione seriale, diffondevano una crescente serenità inquieta.
Così grandi, quelle immagini, da diventare vere e proprie installazioni mobili, fatte di prospettive discordanti, insistentemente acefale e laterali, violate dalla luce e sfuggenti nel vuoto. Uno spazio mentale e non fisico, dunque, che l’artista consiglia di godere nella pura contemplazione, lontano da qualsiasi riflessione razionale, perché mai scientificamente dimostrabile.
Ora, se è vero che un tale atto di conoscenza del reale si situa in una dimensioneSu Palatu ‘e sas Iscolas, veduta della mostra (foto Salvatore Ligios) romantica del sentire e dell’agire, come ci avvertono i curatori della mostra, Giuliana Altea e Marco Magnani, è anche vero che le soluzioni finali, il linguaggio estetico cui approda la Basili è senz’altro di resa più classica che romantica.
Naturalmente intendiamo per classico il valore totalizzante affidato alla forma, regolatrice dell’universo, misura dello spazio inteso come individuale e collettivo assieme.
Il rigore strutturale, la purezza della geometria, l’equilibrio compositivo, dicono, più di quanto non si creda, l’aspirazione massima di queste eleganti impaginazioni a creare una realtà immutabile che ha “valore e significato universale”: un’architettura del desiderio, ma un desiderio sapientemente progettato.

Lorenza Lucchi Basili (Pescara, 1966) vive a Bologna. Formatasi come architetto, ha pubblicato una monografia, L’ordine nascosto dell’organizzazione urbana (con Franco Donato) per la Franco Angeli. Ha al suo attivo un’intensa attività espositiva in campo internazionale.

(foto courtesy Soter Editore/Composita)

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