Costas
Tsoclis
il poeta delle immagini |
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di Katerina Koskina |
La retrospettiva di Costas Tsoclis al Museo
Nazionale di Arte Contemporanea di Atene, dal 1° novembre fino al
3 febbraio 2002, è un evento di primaria importanza nella vita
culturale greca.
È la prima volta che quest’artista riconosciuto a livello
internazionale presenta tutta la sua opera in Grecia. Questa retrospettiva
è stata un evento “dovuto”; la sua presenza sulla
scena internazionale sin dagli anni ’60, le sue sperimentazioni
degli anni ’80 e la sua ricerca che continua ininterrotta fino
ad oggi, rendevano doverosa una grande esposizione in suo onore.
Dopotutto, questo è il motivo per cui il museo di Prato, il Centro
per l’arte contemporanea Luigi Pecci, ha già onorato Tsoclis
in un’importante retrospettiva nel 2000.
Dal 1957, quando Costas Tsoclis lasciò la Grecia per Roma, prima
tappa del suo viaggio attorno all’arte europea, ad oggi che presenta
la sua intera produzione artistica attraverso una selezione di opere
cardinali, molte cose sono cambiate. E, tuttavia, alcune cose sono rimaste
costanti in tutto il suo lavoro, come la varietà dei media utilizzati,
la sua costante esplorazione del concetto di realtà, l’uso
dello spazio inteso come elemento organico dell’opera, la capacità
di coinvolgere lo spettatore.
La mostra ripercorre la carriera di Costas Tsoclis in relazione e parallelamente
ai grandi movimenti artistici che hanno definito il corso dell’arte
europea nella seconda metà del XX secolo.
Il suo lavoro - figurativo, tranne una breve parentesi durante la quale
è stato influenzato dall’astrazione - mira a rappresentare
o, meglio ancora, a creare nuove immagini. Queste immagini paradossali,
con il loro assoluto e fedele riferimento agli oggetti di tutti i giorni,
a paesaggi e figure familiari, sia reali che mitiche, appartengono al
regno dei sogni e dell’immaginazione. Per loro tramite l’artista
esplora il mito, la verità, la metafisica, le tragedie personali
o collettive, ma anche la natura e la storia.
La
sua immaginazione è potente, forse perché è abbastanza
audace da proporre soluzioni basate da un lato su una profonda conoscenza
della storia dell’arte - in particolare la pittura - e dall’altro
sulla sua straordinaria percezione dello spazio e del suo specifico
ruolo nell’allestimento dei suoi lavori. Costas Tsoclis si è
da sempre interessato al problema dell’invasione dello spazio,
cioè dell’appropriazione della terza dimensione, senza
rigettare la pittura, uno dei maggiori risultati delle avanguardie occidentali.
Il procedere di questa ricerca, assieme alla diffusa adesione e uso
dei nuovi media da parte degli artisti visivi, in particolare il video,
lo hanno portato ad una proposta molto personale: la video-pittura o
pittura vivente, un misto di videoproiezione e pittura, una proiezione
su una superficie dipinta, per molti aspetti anticipatrice dell’odierna
videoarte.
L’introduzione del movimento, naturalmente, porta anche in pittura
quella nozione di “tempo reale” ravvisabile in tutta l’arte
degli ultimi anni. Uno squisito primo esempio di questo lavoro è
lo sperimentale - ora storico - Pesce arpionato, del 1985,
esposto fra i Ritratti alla biennale di Venezia nel 1986, che aveva
sollevato polemiche e prodotto una notevole pubblicità allo stesso
Tsoclis.
Il suo interesse principale non era, infatti, la rappresentazione ed
i suoi metodi, ma l’opera in sè, le tecniche e i materiali,
come anche i diversi modi per esprimere i suoi temi, in particolare,
il problema fondamentale della realtà e della sua immagine riflessa.
Così negli anni ’60, facendo ricorso a vari trucchi poetici,
giunse a investire le sue opere di un aspetto illusionistico, attraverso
la combinazione della prospettiva e di oggetti artificiali, resi in
modo tale da apparire reali.
Nonostante non fosse rimasto indifferente né insensibile alla
dominante e idolatrata teoria estetica dell’oggetto, ciò
che lui palesò al tempo del nouveau réalisme
e della pop art fu il suo desiderio di produrre un tableau
vivant che, piuttosto che accostarsi in modo approssimativo alla realtà,
fosse davvero reale. Ciò che lui voleva, era dotare le proprie
immagini di elementi che conferissero loro un carattere più che
reale, sur-reale. Sta in questo l’autentica ansia creativa dell’artista,
che inevitabilmente lo porta a competere col divino. Il risultato di
questa competizione può anche essere preordinato, ma impegnandosi
in essa l’artista ha già raggiunto la trascendenza.
L’osservatore dei lavori di Tsoclis si rende subito conto che
l’artista e l’opera si rassomigliano, dominati dalle stesse
contraddizioni e entrambi contrari a modelli e categorizzazioni.
A tutt’oggi Tsoclis non è mai stato esclusivamente pittore
o scultore. I suoi dipinti sembrano delle sculture, le sue installazioni
sembrano dipinti. È piuttosto un costruttore di immagini. Silenzio
e mistero circondano le sue opere, anche quando sono accompagnate da
suoni. All’interno di esse giace la relazione con la metafisica
e il sogno, a dispetto del loro costante dialogare con la realtà.
Per l’ampio uso di materiali naturali o manufatti, i suoi mari,
le sue foreste, e forse, ancora di più, i suoi oggetti, trascinano
lo spettatore in un’avventura irreale.
Il
carattere particolare delle opere di Costas Tsoclis è dovuto
al suo costante sforzo di mantenere un precario equilibrio tra verità
e menzogna, realtà e illusione, domande e asserzioni, fede e
eresia, permanenza e cambiamento, dubbio e verifica. E come lui stesso
ha indicato, cercando di definire la linea di confine lungo cui ha scelto
di operare: «se la vita cambia continuamente, come posso io rimanere
lo stesso? E se i cambiamenti sono essenzialmente superficiali, come
posso io cambiare?»
Il mito, personale e collettivo, gli eventi della vita, le immagini
registrate come istanti, gli istanti congelati in immagini, gli idoli
e i valori personali, religiosi, consumistici.
«I materiali grezzi nei miei lavori rappresentano le cose che
mi hanno traumatizzato», afferma; tutto ciò viene registrato
con la pittura o con altri mezzi, nel tentativo di promuovere la riconciliazione
tra istinto e conoscenza, cioè, tra natura e civiltà.
La sua relazione con la natura si è manifestata sin dagli anni
’80. Il terremoto del 1999 di Atene, che distrusse la sua casa,
divenne ispirazione per un lavoro che portò Tsoclis a trasformarsi
da creatore in mediatore, come disse lui stesso: si tratta di una fotografia
a grandezza naturale del muro danneggiato del suo studio, un’opera,
secondo lui, fatta dalla natura e che lui ha soltanto reso visibile.
Per la retrospettiva di Atene ha lavorato come action artist,
per produrre la sua Natura morta colossale che si trova fuori dal museo:
un albero di 30 metri sospeso in orizzontale, una riflessione sull’alterazione
che l’uomo ha causato al regolare equilibrio del pianeta. Questo
lavoro è posto in relazione con Angeli del futuro, l’altra
opera realizzata specificamente per questa mostra. Un’altra riflessione
su come la vita sia minacciata dalle “delizie” del consumismo.
Anche se presentata in modo drammatico, apocalittico, l’opera
riflette la visione - inevitabilmente - ottimistica dell’artista
sulla sopravvivenza finale delle specie e la salvezza della natura.
La mostra di Atene offre al pubblico amante dell’arte l’opportunità
di conoscere meglio l’opera di un maestro europeo che ha tenuto
vivi i valori archetipici dell’arte e che rivendica giustamente
il titolo di poeta nel senso originario del termine.