Ziqqurat n°6
Sommario
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Greta
Frau
e l'arte dello spiazzamento
di Ivo Serafino Fenu
«Ricordo le nostre due voci risuonare
in una stanza. Voci distinte, separate, che intrecciandosi progressivamente
fra loro, nel canto di un’aria di Puccini, ne creavano una sola:
“Oh sorella, la morte è vita bella”». Greta Frau
nasce, secondo le indiscrezioni della Trancia S. (3), da un intreccio
di voci, voci distinte e separate ma la cui somma ha generato una polifonia
a dir poco sorprendente. Chissà se cinque anni fa, quando per la
prima volta si sentì parlare di lei in Sardegna, la varia corte
che le diede i natali era pienamente consapevole di aver creato una regina
potente e autonoma, tanto da poter esistere e resistere surclassando i
suoi stessi ideatori/cortigiani? Quella che in origine sembrava niente
più di una trovata goliardica e, per quanto magistralmente condotta,
di breve respiro a causa della sua “virtualità”, ha
finito per trasformarsi, infatti, in uno dei più concreti eventi
artistici prodotti in Sardegna negli ultimi anni, uno dei pochi esportabili
ed esportati, sorprendentemente longevo e capace di nuovi e altrettanto
sorprendenti sviluppi.
Del resto, che la sorpresa e l’Arte dello Spiazzamento, supportate
da un disinvolto approccio situazionista, fossero le peculiarità
dell’operazione culturale era intuibile, meno scontata era invece
la capacità della stessa di autorigenerarsi e continuare a far
girare le ruote di quella sedia, ambigua e letteraria dannazione esistenziale
di Greta Frau, verso nuovi esiti, con un movimentismo veramente insolito
per una disabile, orgogliosamente e inutilmente, in tacchi a spillo. È
proprio l’artificio letterario di condannare Greta su una sedia
a rotelle, di renderla inabile eppure onnipresente, a permettere di imbastirne
la credibilissima quanto improbabile biografia. Nata in Germania, più
precisamente a Colonia, nel 1942, per lungo tempo ricercatrice di immunologia
presso il National Institute of Medical Research di Londra, perde l’uso
degli arti inferiori in un pauroso incidente stradale durante una sua
vacanza in Sardegna e decide, per dare una svolta ancora più radicale
alla sua vita, di restare nell’Isola acquistando uno stazzo
in Gallura, chiudendosi in una sorta di esilio dorato e volontario.
Da
allora, forse rapita dal fascinoso contesto ambientale, elabora una sua
Teoria del Bello all’insegna del motto - Tutto è Bello.
Fate - dedicandosi in un primo tempo all’elaborazione di
brevi aforismi e, successivamente, a veri e propri componimenti letterari
di notevole intensità poetica e dai quali trapela una surrealtà
vagamente crepuscolare, in linea, del resto, col personaggio. Approda,
infine, da autodidatta di talento, alla pratica pittorica, trovando pure
il tempo di condurre per un breve periodo, una rubrica di posta su un
quotidiano locale, accentuando prima, per abbandonarlo poi, il carattere
“mondano” e volutamente kitsch dell’operazione, a dispetto
dell’aristocratica riservatezza del suo stile di vita. La bio-mitografia
di Greta racconta inoltre che nel 1984 aveva iniziato, tra l’altro
e quasi per caso, a collezionare porcellane, riuscendo ben presto a raccogliere
un numero cospicuo di pregevoli pezzi, per lo più a soggetto sacro
e provenienti quasi interamente da Nymphenburg e da Capodimonte, ma la
raccolta venne trafugata da ignoti la notte tra il 25 e il 26 febbraio
1999 e con la sua scomparsa si è spento anche il suo interesse
per tale produzione.
Allestisce la sua prima personale presso la Galleria Shardana di Olbia
nel dicembre 1998 esponendo 16 dipinti a olio, sorta di autoritratti immaginari
con i caratteri fisionomici di eroine care all’immaginario femminile
quali, per esempio, Elizabeth Siddall, musa dei preraffaelliti morta per
un’overdose di laudano: la morte, il senso dell’assenza, la
negazione del presente e del contingente è il filo conduttore della
mostra e diverrà, col tempo, elemento caratterizzante di tutta
la produzione successiva. Dopo la mostra di Olbia, in una sorta di percorso
à rebours, inizia a dipingere con un’ossessività
quasi paranoica la serie delle Trance, ritratti a olio di piccolo
formato che immortalano le sue vecchie compagne di classe, tutte rigorosamente
in camice nero e colletto bianco e con la scriminatura sulla fronte, tutte
simili nel loro aspetto quasi funereo e dal cipiglio severo e arcigno
e tutte così fortemente caratterizzate da essere pervasive e ipnotiche.
La tecnica è sopraffina e l’apprendista pittrice rivela da
subito doti non comuni. Un’artista per la quale i critici più
attenti non lesinano giudizi lusinghieri e, spesso, ingombranti confronti.
Per Giuliana Altea, che ne recensisce le prime opere esposte a Olbia e
ne segue tutto il percorso artistico con devozione quasi materna, il suo
fiamminghismo esasperato, al limite del virtuosismo, è paragonabile
solo a quello proposto dal citazionista Carlo Maria Mariani o, in Sardegna,
dal talentuoso Aldo Tilocca, allora punta di diamante del rinnovato interesse
verso la pratica pittorica; a Maurizio Sciaccaluga ricorda invece la ritrattistica
della provincia americana dell’Ottocento e sempre il ritratto ottocentesco,
spesso di grande valore tecnico e altrettanto spesso immerso nelle nebbie
dell’anonimato, è evocato dai più come carattere peculiare
della sua pittura. Si potrebbe aggiungere che quella di Greta appare una
ricerca votata all’assolutezza tipica delle icone bizantine, ad
esse rimanda, del resto, l’apparente serialità della produzione,
nella quale l’individualità della Trancia è sopraffatta
dalla prassi operativa che, raggiunta l’agognata perfezione, travalica
il contingente e l’accidentalità del singolo, divenendo manifestazione
visibile di un Ente superiore.
Da
allora Greta si fa o viene fatta artista a tutti gli effetti e la rosa
delle Trance, prima esclusivamente limitata alla cerchia ristretta delle
sue compagne di classe o, meglio, alle sue e ai suoi complici/sodali,
si allarga sempre più divenendo una vera e propria setta dedita
a chissà quali culti misterici e della quale lei è il pontefice
massimo e/o la druida Norma, reinventandosi in continuazione per perpetuare
la sua esistenza e alimentarne il mito tramite performance affidate alle
sue fedeli consorelle; i suoi interventi varcano presto i confini della
Sardegna per approdare in prestigiose gallerie e spazi espositivi della
Penisola tanto da essere la sola a rappresentarla all’Arte Fiera
2002 di Bologna.
Le Trance divengono epifania di Greta, non alter ego bensì
Greta stessa, che in un blasfemo e delirante processo di transustanziazione
si incarna nelle sue adepte. Presenti nella loro duplice sostanza, pittorica
e reale, ieratiche e impettite, sedute a un dozzinale banco di scuola,
in memoria, forse, dei trascorsi scolastici comuni, dotate di telefono
o auricolare, trascrivono diligentemente su fogli di carta gli aforismi
dettati dalla Frau per poi appallottolarli e gettarli sul pavimento. Solitamente
gli astanti, prima timorosi poi più audaci, li raccolgono, li leggono
e li conservano gelosamente, quasi si trattasse di responsi divinatori
elargiti dalla novella sibilla.
Oscillanti
tra finesses alla Wilde e amenità alla Donna Letizia si
incentrano sul culto della Bellezza: La Bellezza è Tutto. Tutto
è bello - Fitosomi, retinolo, nmf, ceramici… un obiettivo
in comune: l’eternarsi della Bellezza - Non esiste un dentro e un
fuori per la Bellezza. La Bellezza è, lì, davanti, dietro.
Ti segue sempre, anche quando ti giri - E’ possibile arrestare totalmente
l’invecchiamento della pelle - La Bellezza è paralisi. Abili
e disabili lo siamo tutti - A è uguale a Z. Spesso tali performance
sembrano contenere, seppure in maniera marginale, una meditazione venata
da accenti ironico/voyeuristici sull’enigma dell’arte e sull’ambiguo
rapporto che viene a crearsi nella triangolazione artista, opera d’arte,
fruitore.
Fin qui il mito, o meglio, il personaggio Greta Frau, esito, come già
detto, di un complesso artificio letterario e di una fatica corale ordita
su un inedito e felice complotto sull’asse Sassari-Cagliari. In
realtà per comprenderlo e risalire alle sue origini, per le quali,
trattandosi di una gentile seppure anagraficamente virtuale “signora”,
eviteremo nomi, cognomi e quant’altro, si cercherà di ripercorrerne
la storia attraverso le sue stesse Trance che su di lei espressero giudizi
ammirati o, spesso, subdole cattiverie. Prima tra tutte la Trancia
A. (7) che di lei ebbe a dire nell’illuminante e già
esaustivo Trance di compagne, primo catalogo della sua attività
datato 1999: «Tutte le notti sognavo di essere lei». E sì,
perché peculiarità di Greta è l’aspirazione
delle sue “parti” ad essere Lei, un’aspirazione e un’invidia
che la Trancia G. (24), sua compagna di banco e, pertanto, intima
se non “parte” in causa, esprime surrettiziamente esaltandone
e al contempo invidiandone i «suoi capelli, che aveva bellissimi,
castani e lunghi fino al ginocchio». O, ancora, la Trancia M.
(11), piccola e minuta, che ne invidia l’altezza e ricorda,
forse alludendo all’ambigua identità sessuale di Greta, di
quando ne sentiva «il suo braccio peloso e l’odore di crauti
sotto le ascelle». Con disarmante sincerità o, forse, con
più perfidia la Trancia P. (20), probabile rivale in cose
d’arte, cerca di smontarne la “favola bella” affermando,
senza mezzi termini che «quella è solamente una falsa».
Si potrebbe continuare all’infinito col gioco delle citazioni, ma
quella che emerge, sempre e comunque, è la coralità di Greta,
frutto di quelle «voci distinte, separate, che intrecciandosi progressivamente
fra loro, ne creavano una sola», secondo l’indicazione d’apertura
della Trancia S. (3), anch’essa, indubitabilmente, parte
del tutto. In questo gioco delle parti il pittore, il poeta, il critico,
il giornalista, o, ancora, il gallerista, il coreografo, etc. etc., conniventi-cospiratori
nonché frustrati e imperfetti epigoni di Pigmalione, aspirano a
essere Greta eppure arrancano dietro il suo mito, forse ignari che, secondo
un assioma caro alla Gestaltpsychologie, la funzione delle parti
è determinata dall’organizzazione dell’intero e, pertanto,
è irriducibile alla semplice somma dei suoi elementi costitutivi,
siano essi padri, madri, fratelli e sorelle o semplici levatrici che,
nella fattispecie, di Greta si contendono la primogenitura ma della quale,
nel loro particolare, non avranno mai la complessità.
Il
personaggio Greta è, oramai, come un invasivo Blob, fagocita tutto
al fine di alimentare il proprio mito: castra, inibisce e uccide le singole
individualità che l’hanno generata, impedendo al critico
di scriverne o costringendolo a improbabili contorsioni retoriche, sugge
la linfa vitale del pittore e lo costringe nel suo angusto e claustrofobico
recinto tematico, confina la voce del poeta in una gabbia di vacui inni
alla Bellezza sempre più prossimi ai bugiardini contenuti nei prodotti
di cosmesi. Eppure, coi suoi scheletri nell’armadio e le sue colpe,
«l’operazione-Greta» come l’ha definita Marco
Senaldi sul catalogo Trance di campagna, è vincente. Anticipa
il genere, attualissimo, dell’artista virtuale creato con intenti
più o meno polemici verso il sistema dell’arte contemporanea,
del quale il caso della Biennale di Tirana e dei fantomatici e insistenti
artisti proposti da un ignaro Oliviero Toscani, è solo il più
recente seppure paradigmatico perché, nonostante tutto, l’operazione
ha avuto le lodi dell’altrettanto ignaro curatore Giancarlo Politi
il quale, pur gabbato, ha riconosciuto nel o negli ideatori della beffa,
gli artisti del domani, in fondo anch’essi della stessa genia di
Greta.
Illuminanti, a tal proposito, sono ancora le parole di Senaldi: «Se
ricostruire i bei tempi andati in cui esistevano l’Arte, la Bellezza
e il potere non è più possibile, forse l’unica via
di scampo è immaginare che quei tempi esistano ancora,
è produrre un simbolismo immaginario che ribalti l’immagine
della seduzione contro se stessa […] creare una biografia solida
e dettagliata ad un fantasma […] usare senza ritegno concetti come
Dio, Popolo, Bellezza come se esistessero ancora: impiegare strumenti
desueti come prediche, aforismi, apologie, per dire un memorabile Nulla;
dar corpo e volto ad immagini di un passato che non è mai esistito
né mai esisterà».
Cos’è dunque Greta? Una delle più convincenti artiste
neo-situazioniste del momento nel panorama italiano o, piuttosto, come
suggerisce l’anagramma del suo nome, una grande “fregatura”?
L’attenzione del mercato, il consenso e la curiosità che
generano le sue performance, la qualità comunque altissima della
sua produzione pittorica per nulla virtuale, indicano che, con ogni probabilità,
la prima risposta è quella giusta.
Greta finisce per essere un “Nome collettivo”, una sorta di
novello e redivivo Luther Blisset: creatura Una e multipla costituita
da entità plurali e interscambiabili che sotto la sigla originaria,
in quanto iniziate, o, per usare il gergo caro alla setta, “tranciate”,
possono proporsi, senza copyright, nelle più svariate e autonome
operazioni artistiche, consapevoli di essere una, nessuna, centomila.
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