Ziqqurat n°4
Sommario
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Salvatore Fancello |
di Maria Dolores Picciau |
Parafrasando Jorge Luis Borges potremmo scrivere che la vita di Salvatore
Fancello, è stata unica e individuale, intensa e ricca di riconoscimenti,
ma anche triste per gli anni trascorsi nella Penisola, in una solitudine
quasi totale e per la morte precoce sopraggiunta non ancora ventiquattrenne
in trincea durante il secondo conflitto mondiale. Meteora dal grande talento,
la sua stagione creativa si esaurisce nell’arco di un decennio,
anche se la singolarità del suo linguaggio e la precocità
artistica hanno lasciato una traccia importante nell’arte italiana
del primo Novecento.
Il
suo merito, infatti, è stato quello di aver veicolato fuori dai
confini regionali una nuova immagine della Sardegna. Abbandonata la visione
mitizzante e folklorica di una terra arretrata e tagliata fuori dai circuiti
della storia europea, la sua opera dimostra di saper coniugare felicemente
le radici, i legami profondi con la sua terra e i più esasperati
linguaggi delle Avanguardie europee, che negli anni Trenta avevano profondamente
mutato il clima artistico milanese.
La sua storia inizia a Dorgali, dove nasce nel 1916 da una famiglia di
modeste condizioni economiche, e dove consegue il diploma alla Scuola
di Avviamento professionale. Durante il periodo di apprendistato nella
bottega di Ciriaco Piras, allievo a Cagliari di Francesco Ciusa e produttore
di terrecotte e pelletterie di gran pregio, viene notato dal Commissario
governativo della Federazione Nazionale delle Comunità artigiane.
Colpito dal singolare talento dell’artista, questi lo incoraggia
a partecipare a un concorso bandito dal Consiglio dell’Economia
Corporativa di Nuoro. Per l’occasione Fancello realizza un pannello
di legno scolpito e vince una borsa di studio che gli spalancherà
le porte dell’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di
Monza (ISIA). L’approdo a una realtà extra regionale si inserisce,
di fatto, nel programma governativo fascista particolarmente attento negli
anni ‘30 alla valorizzazione della cultura e delle arti, pronto
ad offrire supporto ad artisti e giovani desiderosi di studiare.
Nella
scuola ultramodernista di Monza, che si avvale di maestri di fama come
Arturo Martini, Marino Marini, Umberto Zimelli, Walter Posern, Virgilio
Ferraresso, Pio Semeghini, Raffaele De Grada e successivamente Edoardo
Persico e Giuseppe Pagano, i due massimi rappresentanti della cultura
razionalista italiana, Fancello avrà come compagni di studi Giovanni
Pintori di Nuoro e Antine Nivola di Orani, entrambi approdati a Monza
grazie a una borsa di studio. I “tre sardi” come vengono chiamati
dai compagni e docenti sono inseparabili e nel 1933, in occasione di un
breve rientro in Sardegna per le vacanze estive, organizzano insieme una
mostra a Nuoro. Sarà grande, però, la delusione per il disinteresse
con cui la città accoglie le loro opere. Per fortuna i successi,
quelli più indicativi, Fancello e i suoi conterranei li otterranno
nella Penisola dove Nivola, prima della fuga verso l’America, si
affermerà come scultore, mentre Pintori diventerà il responsabile
della grafica e della pubblicità della Olivetti. Per il giovane
dorgalese non sarà difficile affermarsi nella scuola ultramodernista
di Monza, infatti le sintassi cubistico-astrattizzanti proposte da quella
didattica erano per lui la riscoperta di linguaggi già acquisiti
e radicati nella sua cultura. Così tutto il retaggio della tradizione
islamica e bizantina, entrato come costante nelle forme del nostro artigianato
diventava per lui un ponte dialogico con le ricerche più avanzate
proposte in quel periodo. Fancello non fa altro che rintracciare l’essenzialità
del suo linguaggio originario, per liberarlo da affabulazioni folklorizzanti,
che gli permettono di risillabare il mondo con un linguaggio autentico
e originale, successivamente ampliato dall’interazione con altre
realtà culturali.
Ricordato da Pagano come un giovane «taciturno, sorridente, sereno,
chiuso in una riservata e sognatrice operosità, signorile nei gesti
e pieno di un’aristocratica modestia», per la prima volta
si confronterà con l’ambiente artistico nazionale nel 1936
partecipando alla VI Triennale di Milano. Qui interviene con un graffito
sulla parete di uno dei padiglioni espositivi, realizza la serie dei Dodici
mesi, un presepio in maiolica colorata e un gruppo di ceramiche, per lo
più animali in grès opaco, tecnica ottenuta colorando
in parte o completamente la terra da modellare. Presenta infine delle
terrecotte grezze dentro coppe smaltate di azzurro raffiguranti I
segni zodiacali, per le quali otterrà l’ambito Gran
Premio. A Milano dove si trasferisce un anno dopo con Nivola e Pintori
conosce Saul Steimberg, che cominciava ad affermarsi come disegnatore
nel bisettimanale satirico Il Bertoldo. Steimberg, secondo una testimonianza
di Nivola, affermò sempre di essersi lasciato influenzare dal tratto
fluido e originale di Fancello il quale, per sopravvivere, comincerà
a sua volta a collaborare per alcune riviste satiriche come Il Settebello.
A questo punto inizierà per lui un periodo molto frenetico arricchito
da incontri significativi come quello con Giulio Carlo Argan, allora funzionario
del Ministero dell’Educazione Nazionale e direttore della rivista
Critica d’Arte, Cesare Brandi, Soprintendente delle Belle Arti a
Rodi e ancora l’architetto Giorgio Rosi anche lui ammaliato dalla
singolare originalità del giovane dorgalese. Intanto si dedica
a una serie di lavori per la Mostra del Tessile Nazionale a Roma, dove
interviene con un nuovo graffito e delle statue a tutto tondo, finché
verrà nuovamente richiamato alle armi.
Nel 1938 inizia per lui un periodo molto difficile sotto il profilo economico,
tra una licenza e l’altra riprende a lavorare a Milano e disegna
immagini fantastiche su lunghi rotoli di carta da telescrivente, che l’amico
Pintori gli regalava. Si tratta per lo più di animali esotici o
domestici, in cui conserva una personale freschezza nelle linee fluide
esaltate dalla rada tessitura di macchie colorate. Tende così nei
suoi inesauribili racconti come in Disegno ininterrotto del 1938 a mitizzare
l’elemento naturalistico, che non si risolve in astrazione come
in Nivola o Pintori, ma in una trasfigurazione rífondante del mondo.
La sua sintassi, a una realtà vissuta, sembra preferire una visione
trasognata, e nel suo linguaggio, forte di un immaginario alternativo,
affiorano forme sedimentate nella memoria. L’artista aveva scoperto
molto presto il piacere poetico di alcune tematiche e si dispone a scandagliarne
felicemente le articolazioni nel segno del mito e del sogno. In modo costante
perciò nella sua produzione ricorre un
mondo popolato da animali, come mucche, cinghiali, formichieri resi con
un grafismo rapido e nervoso, linee asciutte e frementi che si inseguono
e rincorrono in un brulichio che non conosce soste. Il distacco dal reale
in Fancello si traduce in un’anatomia simbolica del soggetto dove
anche il referente naturalistico non è che un’allusione,
un avvertimento dell’altro da sé.
Al principio dell’estate inizia a lavorare nella bottega del ceramista
Giuseppe Mazzotti ad Albisola Marina. La permanenza in Liguria, inframmezzata
da continui spostamenti a Milano e Genova, sarà molta produttiva
visto che realizzerà circa centocinquanta opere, compreso un presepe
di grandi dimensioni. Dal mecenate Tullio d’Albissola, che vantava
una qualificata tradizione nella produzione di ceramiche artistiche, collaborano,
tra gli altri, gli Aeroceramisti ovvero Prampolini, Gaudenzi, Fillia e
Munari e ancora Lucio Fontana, Agenore Fabbri Aligi Sassu e Luigi Broggini.
Tra le opere di questa fase si distinguono una serie di animali in maiolica
colorata: Caccia alla tigre, Cinghiale morto, Leone e coccodrilli, Leone
e cinghiale in lotta, Faraona, Gallo, e ancora piatti, vasi riflessati
in oro e colori metallici. La produzione in ceramica di questo periodo,
che influenzerà alcuni artisti coevi come Fontana e Sassu, si caratterizza
rispetto al periodo degli esordi per l’utilizzo di smalti e per
una più accentuata luminosità materica. Nel gennaio del
1939 Fancello viene nuovamente richiamato alle armi, da Ivrea viene trasferito
a Susa e a Molaretto, intanto l’anno dopo, in occasione di una licenza,
ottiene l’incarico dal Comune di Milano per la realizzazione di
alcune opere in ceramica per l’Università Bocconi. I lavori
eseguiti secondo schemi ben definiti, sotto l’attenta direzione
dell’architetto Pagano rimarranno incompiuti. Richiamato di nuovo
sul fronte, infatti, morirà il 12 marzo 1941 «sulla quota
717 a Bregu Rapit in Albania, durante un assalto alle linee nemiche».
Salvatore Fancello nasce a Dorgali nel 1916. Dopo avervi conseguito
il diploma alla Scuola di Avviamento professionale, dapprima apprendista
di Ciriaco Piras e poi allievo di Francesco Ciusa, nel 1930 vince una
borsa di studio per frequentare l’I.S.I.A. di Monza. Nel 1936 si
aggiudica il Gran Premio alla VI Triennale di Milano. Muore sul fronte
albanese nel 1941.
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