Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo


Ziqqurat n°4
Sommario

Ardau
+
Calì

di Anna Rita Chiocca

A



rdau+Calì (Barbara Ardau e Camilla Calì) sono una coppia di giovani artiste cagliaritane. Studentesse all’Accademia delle Belle Arti di Sassari, hanno come campo d’indagine l’identità e il corpo femminile, privilegiando la pratica fotografica come ricognizione dell’individuo.

A.R.C.: Voi siete due donne giovanissime che fanno arte. Nell’ultimo decennio si parla molto di giovani artisti, dell’arte al femminile e delle coppie artistiche. La vostra “società” sembra essere perfettamente in sintonia con questa tendenza. Come vedete questa situazione? Nel vostro caso, quando e come nasce questo sodalizio?
Ardau + Kalì, Legami, 2001, plotter painting, 150 x 100 cmA.+C.: Abbiamo deciso di lavorare assieme soprattutto per un feeling personale che ci unisce. Benché i nostri lavori realizzati in precedenza, i lavori non realizzati in coppia, si discostassero molto tra loro, volevamo, però, cercare di concepire un tipo di lavoro che riuscisse a racchiudere tutte le esperienze che avevamo vissuto assieme. Abbiamo frequentato lo stesso liceo, apparteniamo alla stessa generazione e abbiamo in comune anche il tempo. Abbiamo vissuto il tempo della televisione, di internet, condividendo le medesime idee. La foto ci sembrava il mezzo più veloce, più istantaneo per poterci rendere conto di ciò che veramente volevamo dire o volevamo rappresentare. Così è iniziata la nostra collaborazione. Una società, una cooperativa di idee e soprattutto di sentimenti.

A.R.C.: La coppia è sicuramente una forza.
A.+C.: Certo. E poi, con l’andare avanti, col giocare - perché inizialmente era un gioco - ci siamo accorte del fatto che la foto, il video, la performance, erano così tanto di moda. Però questo è un aspetto molto superficiale. Abbiamo dipinto tantissimo, abbiamo sempre dipinto, abbiamo entrambe conosciuto lo spazio della pittura. Dai nostri lavori si può vedere bene che la foto non è un mezzo di moda, legato ad un’esigenza esterna, ma è stata soprattutto un’esigenza pratica, di semplificazione di linguaggio. Infatti, ora stiamo utilizzando molto le istantanee. Cercando di velocizzare tutto, volendo cogliere tanti aspetti della nostra vita, di ciò che facciamo, che ci piace, e recepirli istantaneamente.

A.R.C.: Quanto l’intervento pittorico sulla foto è un aspetto fondamentale del vostro lavoro? Ci è capitato di parlarne, e in quell’occasione avete sostenuto che in alcuni lavori è presente la scelta di intervenire manualmente e pittoricamente, mentre in altri avete abbandonato questa pratica. Come è nata l’esigenza d’intervenire pittoricamente e come è nata la scelta di discostarsene?
A.+C.: Inizialmente non riuscivamo a distaccarci da quella che era la pittura, il fatto di mettere colore su una superficie e di poterla formare. Abbiamo sperimentato molto sulle foto e dipinto tantissimo. In Trip-tic water close, ad esempio, c’è sia l’esigenza di mettere qualcosa in più, di aggiungere, sia quella di ribadire qualcosa, di sottolinearlo attraverso la pittura, e allo stesso tempo quasi negare la pittura attraverso l’immagine digitale.

A.R.C.: Quindi, la polaroid dovrebbe essere un’ulteriore diciamo “liberazione”, seguendo unArdau + Kalì, Fantasy dreams, 2001, dittico, polaroid 100 x 80 cm (particolare) percorso sempre più in direzione della sintesi.
A.+C.: Certo, così come è stato per la fotografia senza gli interventi. Infatti, praticare interventi pittorici sulle foto è un problema un po’ complesso. Però in certi casi è importante farlo. Nell’ultimo lavoro abbiamo sentito l’esigenza di sottolineare determinate cose tramite l’intervento digitale, con un mezzo diverso.

A.R.C.: Come nasce l’esigenza di lavorare con il digitale, considerando che non è una pratica che esclude l’intervento pittorico manuale. Possiamo considerarla un’ennesima esigenza di superamento dei limiti? Ci sono artisti che distinguono le due cose, e voi?
A.+C.: No, noi le vediamo molto vicine. Reputiamo la foto qualcosa di costruito, quindi anche la costruzione del quadro dipinto non è dissimile dalla costruzione del quadro digitale.

A.R.C.: Come rientra nel vostro lavoro lo sviluppo temporale dell’azione, l’uso della sequenza. I vostri quadri fotografici non sono scatti unici ma sequenze dall’intento narrativo.
A.+C.: Sì, un racconto, un diario, qualcosa che faccia intuire un’azione, cosa che la singola foto non può dare. Ma non c’è una sequenza filmica, cioè fotogrammi visti uno dietro l’altro. Forse, il fatto di ribadire determinate cose è importante. Ci interessa ricreare un ambiente, un’azione, non documentare esattamente ogni passaggio.

A.R.C.: Il campo d’indagine su cui vi muovete è il corpo femminile o meglio una parte del corpo che definisce inequivocabilmente il genere sessuale del soggetto. La vostra attenzione è rivolta alla parte centrale del corpo, ai genitali femminili. Da cosa nasce questa scelta?
A.+C.: Nasce da interessi comuni: una messa in discussione di tutto ciò che riguarda il ruolo della donna, fino all’immagine femminile nella pubblicità. Per questo, e per il profondo amore per il corpo femminile, abbiamo deciso di soffermarci su ciò che conosciamo bene, e allo stesso modo mettere in discussione gli stereotipi femminili, e gli atteggiamenti che appaiono scontati. Tutto ciò che ruota intorno alla figura femminile: come dobbiamo essere, come ci presentiamo agli altri, come dobbiamo apparire. Questo è visibile nel lavoro Gillet pour elle.
A.: Io ho sempre lavorato sul corpo, tutto il mio lavoro all’Accademia è stato sul corpo, partendo dal gesto, la gestualità, le Antropometrie riprese da Klein; ho realizzato dei lavori sulle malattie del corpo femminile. Del resto, è un’esigenza comune a molti artisti contemporanei lavorare sul corpo e sull’identità.

A.R.C.: Ritornando alle polaroid e ai nuovi lavori. Dicevate che l’istantanea è una nuova esigenza legata alla velocità…
A.+C.: Intendiamo la velocità nel vedere il risultato di ciò che abbiamo fotografato. Poi, l’elaborazione è qualcosa di molto più complesso e richiede molto più tempo. Anche sulle polaroid intendiamo intervenire digitalmente, stamparle in grandi formati, fare insomma degli interventi. Però è importante vedere ciò che abbiamo fotografato nel momento, e rendersi conto istantaneamente di ciò che siamo riuscite a catturare. Lo troviamo importantissimo, almeno ora.

A.R.C.: Sembrerebbe un’ulteriore indagine oltre la pittura?
A.+C.: Sì, anche se non possiamo dire che la foto è pittura, ma nella fotografia riusciamo a fare pittura attraverso l’impostazione dell’immagine o la griglia che sta dietro la foto o la costruzione dell’immagine fotografica - che potrebbe apparire casuale, tratta da momenti colti al volo, però è sempre in qualche modo filtrata da noi e dall’esperienza che abbiamo avuto con la pittura.


Barbara Ardau è nata a Cagliari nel 1977. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Sassari. Vive e lavora a Cagliari.

Camilla Calì è nata a Cagliari nel 1977. Vive a Sassari dove frequenta l’Accademia di Belle Arti.

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