Ziqqurat n°4
Sommario
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Ardau
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Calì
di Anna Rita Chiocca
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rdau+Calì (Barbara Ardau e Camilla Calì) sono una coppia
di giovani artiste cagliaritane. Studentesse all’Accademia delle
Belle Arti di Sassari, hanno come campo d’indagine l’identità
e il corpo femminile, privilegiando la pratica fotografica come ricognizione
dell’individuo.
A.R.C.: Voi siete due donne giovanissime che fanno
arte. Nell’ultimo decennio si parla molto di giovani artisti, dell’arte
al femminile e delle coppie artistiche. La vostra “società”
sembra essere perfettamente in sintonia con questa tendenza. Come vedete
questa situazione? Nel vostro caso, quando e come nasce questo sodalizio?
A.+C.:
Abbiamo deciso di lavorare assieme soprattutto per un feeling personale
che ci unisce. Benché i nostri lavori realizzati in precedenza,
i lavori non realizzati in coppia, si discostassero molto tra loro, volevamo,
però, cercare di concepire un tipo di lavoro che riuscisse a racchiudere
tutte le esperienze che avevamo vissuto assieme. Abbiamo frequentato lo
stesso liceo, apparteniamo alla stessa generazione e abbiamo in comune
anche il tempo. Abbiamo vissuto il tempo della televisione, di internet,
condividendo le medesime idee. La foto ci sembrava il mezzo più
veloce, più istantaneo per poterci rendere conto di ciò
che veramente volevamo dire o volevamo rappresentare. Così è
iniziata la nostra collaborazione. Una società, una cooperativa
di idee e soprattutto di sentimenti.
A.R.C.: La coppia è sicuramente una forza.
A.+C.: Certo. E poi, con l’andare avanti, col giocare
- perché inizialmente era un gioco - ci siamo accorte del fatto
che la foto, il video, la performance, erano così tanto di moda.
Però questo è un aspetto molto superficiale. Abbiamo dipinto
tantissimo, abbiamo sempre dipinto, abbiamo entrambe conosciuto lo spazio
della pittura. Dai nostri lavori si può vedere bene che la foto
non è un mezzo di moda, legato ad un’esigenza esterna, ma
è stata soprattutto un’esigenza pratica, di semplificazione
di linguaggio. Infatti, ora stiamo utilizzando molto le istantanee. Cercando
di velocizzare tutto, volendo cogliere tanti aspetti della nostra vita,
di ciò che facciamo, che ci piace, e recepirli istantaneamente.
A.R.C.: Quanto l’intervento pittorico sulla
foto è un aspetto fondamentale del vostro lavoro? Ci è capitato
di parlarne, e in quell’occasione avete sostenuto che in alcuni
lavori è presente la scelta di intervenire manualmente e pittoricamente,
mentre in altri avete abbandonato questa pratica. Come è nata l’esigenza
d’intervenire pittoricamente e come è nata la scelta di discostarsene?
A.+C.: Inizialmente non riuscivamo a distaccarci da quella
che era la pittura, il fatto di mettere colore su una superficie e di
poterla formare. Abbiamo sperimentato molto sulle foto e dipinto tantissimo.
In Trip-tic water close, ad esempio, c’è sia l’esigenza
di mettere qualcosa in più, di aggiungere, sia quella di ribadire
qualcosa, di sottolinearlo attraverso la pittura, e allo stesso tempo
quasi negare la pittura attraverso l’immagine digitale.
A.R.C.: Quindi, la polaroid dovrebbe essere un’ulteriore
diciamo “liberazione”, seguendo un
percorso sempre più in direzione della sintesi.
A.+C.: Certo, così come è stato per la
fotografia senza gli interventi. Infatti, praticare interventi pittorici
sulle foto è un problema un po’ complesso. Però in
certi casi è importante farlo. Nell’ultimo lavoro abbiamo
sentito l’esigenza di sottolineare determinate cose tramite l’intervento
digitale, con un mezzo diverso.
A.R.C.: Come nasce l’esigenza di lavorare
con il digitale, considerando che non è una pratica che esclude
l’intervento pittorico manuale. Possiamo considerarla un’ennesima
esigenza di superamento dei limiti? Ci sono artisti che distinguono le
due cose, e voi?
A.+C.: No, noi le vediamo molto vicine. Reputiamo la
foto qualcosa di costruito, quindi anche la costruzione del quadro dipinto
non è dissimile dalla costruzione del quadro digitale.
A.R.C.: Come rientra nel vostro lavoro lo sviluppo
temporale dell’azione, l’uso della sequenza. I vostri quadri
fotografici non sono scatti unici ma sequenze dall’intento narrativo.
A.+C.: Sì, un racconto, un diario, qualcosa che
faccia intuire un’azione, cosa che la singola foto non può
dare. Ma non c’è una sequenza filmica, cioè fotogrammi
visti uno dietro l’altro. Forse, il fatto di ribadire determinate
cose è importante. Ci interessa ricreare un ambiente, un’azione,
non documentare esattamente ogni passaggio.
A.R.C.: Il campo d’indagine su cui vi muovete
è il corpo femminile o meglio una parte del corpo che definisce
inequivocabilmente il genere sessuale del soggetto. La vostra attenzione
è rivolta alla parte centrale del corpo, ai genitali femminili.
Da cosa nasce questa scelta?
A.+C.: Nasce da interessi comuni: una messa in discussione
di tutto ciò che riguarda il ruolo della donna, fino all’immagine
femminile nella pubblicità. Per questo, e per il profondo amore
per il corpo femminile, abbiamo deciso di soffermarci su ciò che
conosciamo bene, e allo stesso modo mettere in discussione gli stereotipi
femminili, e gli atteggiamenti che appaiono scontati. Tutto ciò
che ruota intorno alla figura femminile: come dobbiamo essere, come ci
presentiamo agli altri, come dobbiamo apparire. Questo è visibile
nel lavoro Gillet pour elle.
A.: Io ho sempre lavorato sul corpo, tutto il mio lavoro
all’Accademia è stato sul corpo, partendo dal gesto, la gestualità,
le Antropometrie riprese da Klein; ho realizzato dei lavori sulle malattie
del corpo femminile. Del resto, è un’esigenza comune a molti
artisti contemporanei lavorare sul corpo e sull’identità.
A.R.C.: Ritornando alle polaroid e ai nuovi lavori.
Dicevate che l’istantanea è una nuova esigenza legata alla
velocità…
A.+C.: Intendiamo la velocità nel vedere il risultato
di ciò che abbiamo fotografato. Poi, l’elaborazione è
qualcosa di molto più complesso e richiede molto più tempo.
Anche sulle polaroid intendiamo intervenire digitalmente, stamparle in
grandi formati, fare insomma degli interventi. Però è importante
vedere ciò che abbiamo fotografato nel momento, e rendersi conto
istantaneamente di ciò che siamo riuscite a catturare. Lo troviamo
importantissimo, almeno ora.
A.R.C.:
Sembrerebbe un’ulteriore indagine oltre la pittura?
A.+C.: Sì, anche se non possiamo dire che la foto
è pittura, ma nella fotografia riusciamo a fare pittura attraverso
l’impostazione dell’immagine o la griglia che sta dietro la
foto o la costruzione dell’immagine fotografica - che potrebbe apparire
casuale, tratta da momenti colti al volo, però è sempre
in qualche modo filtrata da noi e dall’esperienza che abbiamo avuto
con la pittura.
Barbara Ardau è nata a Cagliari nel 1977. Ha frequentato l’Accademia
di Belle Arti di Sassari. Vive e lavora a Cagliari.
Camilla Calì è nata a Cagliari nel 1977. Vive a Sassari
dove frequenta l’Accademia di Belle Arti.
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