Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo


Ziqqurat n°4
Sommario

 

Cosmogonie sonore
Pinuccio Sciola

di Giannella Demuro


Monoliti imponenti, basalti consumati nello scorrere infinito dei giorni, frammenti di materia sui quali la natura ha depositato le tracce vive di licheni colorati, rocce che mantengono le antiche scorze naturali, pietre che l’artista lascia volutamente intatte limitandosi ad aprire varchi minimali, a segnare passaggi filiformi per penetrarne l’essenza più intima e farsi interprete del loro mistero.
Attraverso queste fenditure sensibili sgorgano, dalle viscere profonde e segrete delle pietre-sculture, sussurri metallici, lamenti rochi e profondi, brusii sordi, sonorità liquide di un tempo antico, per ricongiungersi alla voce di un tempo presente.
Oggi, oltre la materia c’è, infatti, la voce del tempo, nelle opere di Pinuccio Sciola.
Sedotto dai lamenti silenziosi del Tempo che lo chiama - prigioniero antico incastonato tra i cristalli di rocce magmatiche nate agli albori del Cosmo - Sciola cede agli incanti di “pietre-sirene” che, ammalianti, attirano il suo sguardo e lo catturano.
Attraverso sentieri battuti da suoni muti, tracciati sul suolo avaro di una terra di pietre, Sciola accoglie il richiamo e raggiunge quelle pietre cui sente ormai di appartenere, ritrovando in ognuna la voce annichilita di intimi trattenuti respiri, voce struggente che torna a vivere ancora nelle vibrazioni litiche delle enigmatiche “sculture sonore”.
Pinuccio Sciola, Pietra, 1995, basalto, h 340 cmSono, le Pietre sonore, gli esiti intensi e affascinanti della stagione più matura della ricerca artistica di Pinuccio Sciola, una ricerca nata sul finire degli anni Cinquanta nell’ambito della sperimentazione plastica e che, nel tempo, si è progressivamente orientata verso una rigorosa essenzializzazione delle forme, in un procedere che è sempre più colloquio attivo, confronto dialettico con la materia che abilità tecnica. Per Sciola, infatti, la pietra non è sostanza inerte da modellare, ma entità pulsante di vita propria, con la quale egli sente l’urgenza di confrontarsi in un dialogo aperto e dinamico.
Nato in un’isola di pietra, Sciola ha maturato nel tempo la convinzione che questa materia antica, suggestivamente pensata come ‘spina dorsale del mondo’, sia la memoria tangibile dell’origine dell’universo e che trattenga in sé, imprigionata nelle sue concrezioni, la storia codificata del suo dipanarsi nel tempo.
Questo modo di intendere il mondo intorno a sé, ha progressivamente accompagnato il cammino dello scultore, dagli inizi del suo procedere, lungo la seconda metà del secolo scorso fino e oltre le soglie del nuovo millennio, e lo ha portato a cercare, con intuitiva sensibilità e curiosità esigente, stimoli e conferme per la sua arte.
Già negli anni Sessanta, gli anni della formazione artistica, quando ancora la ricerca era rivolta principalmente alla dimensione figurativa della scultura, ma ancor più nel decennio successivo, Sciola iniziava a confrontarsi con arti e culture differenti, in Europa ma anche nell’America Centrale e in Africa, lì dove sentiva più forte il richiamo ”all’espressione primigenia”.
Di queste esplorazioni condotte in direzioni parallele alla sua, in un passato più o meno remoto o recente, resta traccia, sedimentata e consapevole, nelle opere realizzate successivamente, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, quando cioè il sistema teorico dell’artista, assimilata ormai da tempo la lezione dei maestri della grande tradizione scultorea italiana ed europea, si organizzava secondo ben precise direttrici antropologiche. Così, accanto ad opere che proponevano una rilettura volutamente non mediata di motivi appartenenti alla cultura isolana (dalle protomi taurine alle linee centinate delle porte tombali, ai petroglifi antropomorfi), una sottesa coerenza antropologica lo portava a realizzare Steli in trachite dalle superfici ruvide, arabescate con geometrismi spiraliformi echeggianti le iconografie simboliche delle civiltà precolombiane, a lungo studiate nei viaggi in Messico e in Perù o Sculture lignee sinteticamente sbozzate in asciutte sembianze antropomorfe, le cui severe riduzioni formali trattenevano le atmosfere potenti e suggestive colte nell’incontro con le culture primitive africane.
Appare evidente come la ricerca condotta da Sciola in questi anni, sebbene composita negli esiti, rappresenti un momento centrale allo sviluppo del suo fare artistico. Non a caso, infatti, le opere realizzate nella prima metà degli anni Ottanta compaiono in un importante ciclo di mostre tenute in alcuni tra i più interessanti e musei d’arte moderna della Germania, tra il 1983 e il 1986.
L’aver ricercato e sperimentato, al di là dell’inevitabile eterogeneità delle grammatiche espressive incontrate e adottate, il filo conduttore che lega tra loro le grandi culture archetipali della Terra, ha portato l’artista a scarnificare sempre più insistentemente la “forma” per indagare i “principi” profondi e impenetrabili dell’universo.
Il processo di riduzione formale che Sciola ha operato in quegli anni, ha orientato in modo via via più definito e inequivocabile la ricerca verso quella dimensione geometrica astrattizzante e minimalista che caratterizza la produzione degli anni Novanta, certamente la fase più avvincente ed originale del suo percorso.
In questa recente stagione, Sciola scopre nuove strade e nuovi esiti, affrontando con rinnovata convinzione un tema, quello delle “pietre legate”, già percorso anni addietro, Pinuccio Sciola, Pietre legate, 1986, trachite di Serrenti, 170 x 40 x 40 cm ciascunae portandolo alle estreme conseguenze. Se attraverso le Pietre legate - blocchi di trachite su cui interveniva tracciando incisioni sottili che affondavano oltre le superfici litiche come corde tese a imbrigliare una materia ribelle, restia a dichiararsi statica e priva di vita - lo scultore aveva intuito la vitalità pulsante di una materia apparentemente inerte, una materia la cui esistenza era stata troppo a lungo “negata”, ora egli percepisce distintamente l’anima, la vita che vibra sotto la scorza dura di stratificazioni millenarie, la volontà formicolante e l’urgenza di manifestarsi di un’entità che lotta per affermare la propria identità.
Pinuccio Sciola, Cielo di Pietra, 1999, basalto, h 340 cmNel 1990 Sciola porta a termine il Cielo di pietra, un’opera monumentale fortemente evocativa realizzata in basalto, che annuncia esiti ancor più sorprendenti. Il Cielo di pietra, come gran parte delle opere successive, rivela un’intrinseca ambiguità formale: da un lato una corazza antica e impenetrabile dove le ferite lasciate dal tempo, curate dalla pioggia, dal sole o da verdi licheni, appaiono ormai come cicatrici sbiadite; dall’altro uno specchio di pietra dai contorni irregolari e sfrangiati, una superficie levigata che ha catturato la luce nera di presenze siderali, cui si sovrappongono, discrete, le possibili rotte celesti tracciate dall’artista per non smarrirsi nell’infinità dell’universo.
L’interrogativo cosmologico è un tratto intrinseco alla natura umana, un anelito alla conoscenza che nei secoli ha generato miti e religioni, nutrito dottrine di pensiero e speculazioni filosofiche, elaborato teorie scientifiche, ispirato gli umori dell’arte e della creatività.
Attingendo alle fonti del pensiero e, particolarmente, alle teorie degli antichi filosofi greci - all’idea pitagorica di “Cosmo” come ordine delle cose, e più ancora, alla rigorosa e razionale rappresentazione dell’universo fisico del Timeo platonico - Sciola ha maturato ed elaborato, negli anni recenti della sua ricerca, una suggestiva e visionaria teoria cosmogonica, ritrovando nel microcosmo di magmi cristallizzati nelle viscere di neri basalti, la sconosciuta vastità del macrocosmo e le sue infinite costellazioni. Per questo, a partire dai primi anni Novanta, l’artista sceglie di utilizzare quasi esclusivamente pietre basaltiche dai volumi più diversi, preferendo tra esse monoliti monumentali o eleganti forme colonnari, perché i basalti, appunto, più delle trachiti o dei graniti, conservano la memoria cosmica di un tempo lontano, un tempo fatto di lave incandescenti, di magmi fluidi e arrossati, di impasti raggrumati e raffreddati nella dolorosa genesi di un Caos ancestrale.
Alcuni anni più tardi, un ulteriore sviluppo di questa poetica così intensamente visionaria, porterà Sciola a dare concreta evidenza del suo pensiero, con un gesto audace e sfrontato, nelle Pietre fuse. Esponendo alcune pietre al calore di una potente fiamma, lo scultore ne provoca la liquefazione e, in tal modo, insufflando simbolicamente un caldo alito vitale nella pietra scolpita, l’artista rinnova l’arcano rito della creazione: spezzando le catene che imprigionano il tempo, riportando in vita il magma sopito e donando alla pietra, prima solida e inerte, nuova ribollente linfa vitale.
Custodi, dunque, dei misteri del tempo, le sculture megalitiche di Sciola si stagliano silenziose nel paesaggio naturale, vigili ed austere, imponenti nella loro ieratica liticità e nella monumentale essenzialità di forme primordiali: presenze dense di quella forza misteriosa e inquietante che solo la sensibilità dell’artista è riuscita, seppure parzialmente, a svelare.
Mentre i Cieli di pietra riflettono l’ordine cosmico e la presenza pulsante dell’”altrove”, dietro i ruvidi manti segnati dallo scorrere delle stagioni, svettanti Forme verticali e affusolate Steli colonnari (create anch’esse nella prima metà degli anni Novanta), celano superfici “mute”, piani straordinariamente levigati, che invitano ad insinuarsi nelle segrete profondità della materia per giungere a percepirne l’essenza più intima, l’anima ancestrale, lungo i tagli netti e acuminati dalle geometrie verticali, che lo scultore ha realizzato penetrando la pietra con violenza sensuale, affondando in essa affilati dischi metallici, rincorrendo il ricordo di fenditure analoghe, modellate naturalmente dallo scorrere di acque o da repentini passaggi di stato.
Ciascuna di queste sculture, forme aniconiche dai forti contrasti materici e dall’intensa valenza magico-sacrale, racchiude in sé un messaggio unico, ogni volta diverso e ogni volta intimamente uguale, che l’artista ha caparbiamente indagato per ritrovare il nucleo del mistero della vita.
In questi stessi anni Sciola ha tracciato una linea di ricerca parallela, approfondendo la tematica del binomio “natura/cultura”, oggi drammaticamente attuale che, fin dagli inizi della militanza artistica, lo ha portato ad operare sulle urgenze socio-ambientali della realtà umana e naturale, attuando una strategia di ridefinizione del paesaggio che muove da imprescindibili premesse di carattere culturale, secondo cui si rende necessario attivare stimoli percettivi idonei che consentano una corretta integrazione dialettica con lo spazio ambientale.
Pinuccio Sciola, Seme di pietra, 1996, basalto, l. 20 cm ca.Nascono da queste premesse i Semi di pietra, forme ambigue dense di osmotici ordini di sensi, embrioni gravidi di fertile materia viva, schegge convesse che affiorano fra gli orli slabbrati di scorze rocciose, vulve schiuse nel compiersi dell’”evento”, nucleo organico di pietra che attende di generare altre pietre.
Ancora una volta Sciola insiste su una metafora “biologica”: i Semi di basalto diventano così, attraverso un coerente slittamento di senso, organismi vegetali viventi, come già, anni addietro, similmente lo erano state le Spighe in trachite, in un procedere spiraliforme che è un andare avanti regolare ed incessante, ma anche, via via, un irreversibile processo di azzeramento, un’immersione nel nucleo originario dell’universo per consentire, con il compimento del sacro rito della fecondazione, il rinnovamento della Materia, della Vita stessa.
Nel 1996, nel corso di un intervento ambientale - la Semina delle pietre - a Niederlausitz, in Germania, Pinuccio Sciola tracciò un solco nei pressi di una miniera in disuso, su una terra lungamente violata e resa sterile da saccheggiamenti rapaci e indifferenti, e vi seminò alcuni dei suoi semi di pietra: gesto antico di un uomo nato contadino che rinnova il rito ancestrale della fecondazione, gesto pregnante e attuale di un artista che spargendo i ‘semi’ della sua arte nel grembo della Terra, la feconda e la rigenera, riconciliandosi con essa nella promessa di nuova armonia e nuova vita.
Ma in questi recentissimi anni, ancora una volta, Sciola ha attraversato nuove regioni, ha cercato altre possibili direzioni, ha ritrovato alieni alfabeti sonori, là dove già aveva scavato, frugato, sondato, tra le pieghe segrete di impasti sopiti. Inconsapevolmente, negli anni in cui teorizzava le origini siderali del basalto, lo scultore non indagava solamente il mistero muto dell’anima della pietra. Dopo essere penetrato nei blocchi rocciosi con la cruda verticalità di tagli e spaccature profonde, che lasciavano intravedere, a tratti, la rappresa matrice primordiale, Sciola ha spinto ancora oltre la sua indagine, convinto che, se la pietra è materia viva, deve poter comunicare la sua storia e, sebbene, per definizione, la pietra sia considerata ”muta”, egli ne ha caparbiamente ricercato la voce e, ascoltando oltre gli apparenti silenzi, ha saputo percepirne e riconoscerne il suono struggente, il lamento lontano di respiri imprigionati.
Pinuccio Sciola, Pietra, 1995, basalto, h 340 cmCosì, Sciola, tra il ’95 e il ‘96, realizza le prime Pietre sonore, blocchi di basalto attraversati da incisioni regolari e profonde, che creano una fitta sequenza di lamine verticali, la cui vibrazione produce onde: suoni fisici che provengono dalla materia abilmente predisposta dallo scultore e che corrispondono inequivocabilmente alla voce della pietra. Voce roca e affaticata che, attraversando il Tempo e gli spazi siderali, è emersa dalle viscere segrete della materia, scivolando faticosamente in superficie lungo le membrane litiche delle “arpe di pietra”, veri e propri varchi temporali che rendono uniche le Sculture sonore.
Oggi, la ricerca sulle pietre sonore è diventata un fulcro nodale nel lavoro di Pinuccio Sciola, non soltanto perché queste opere sono indiscutibilmente tra gli esiti più alti del suo percorso d’artista, ma anche perché i materiali sonori prodotti dalle pietre, così nuovi e “altri”, hanno stimolato esiti originali nell’ambito della sperimentazione musicale contemporanea, una conferma della grande attualità dell’arte di Sciola, “suono di pietra” che esiste nell’immaterialità di uno spazio estetico assolutamente contemporaneo.


Pinuccio Sciola è nato nel 1942 a San Sperate (CA), dove vive e lavora.

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