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Arte contemporanea e cultura in Sardegna e nel Mediterraneo |
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Won’t you fuck my dream? Il
legame tra immaginario e realtà è più profondo di
quello tra la realtà e se stessa. L’immaginario ha certamente
una sua realtà, come quando un villaggio del West viene ricostruito
a scopo cinematografico. Ma la realtà stessa si struttura intorno
all’immaginario, come quando l’arredamento di un locale alla
moda richiama l’interno di un saloon. Se però al giorno d’oggi
ci sembra che l’immaginario sia più importante della realtà,
non è perché c’è più immaginario e meno
realtà, ma perché le due cose si sono scambiate di posto.
L’immaginario va oltre se stesso, ed è più reale della
realtà, ma intanto la realtà è meno di se stessa,
e così diventa più immaginaria dell’immaginario. Oh babe, it’s a wild world Ora, i cartoni animati non sono solo una produzione culturale
trasversale: sono soprattutto una produzione destinata ai bambini, costituiscono
lo spazio fantastico dell’infanzia. E fin dai suoi primi lavori
Pinna ha pensato di dedicarsi all’immaginario infantile: oltre ad
ispirarsi ai cartoni animati ha realizzato opere con giocattoli, pupazzi,
occhi di bambola, facendo comparire in sculture e dipinti personaggi assai
diversi come Mickey Mouse o Pinocchio, il canarino Titti
o l’Uomo Ragno, arrivando ad incrociarli o a clonarli con
esiti inquietanti e mostruosi. Se si fosse limitato a questo sarebbe tuttavia
un epigono - quale artista contemporaneo non ha pensato di lucrare sulla
popolarità dei personaggi da fumetto? Ma il caso è diverso
se, accanto a queste persone, trovano posto i sogni e le aspettative “reali”
sotto forma di feti, di bimbi non-nati, in tutta la loro realistica rappresentazione.
Che senso hanno gli innumerevoli feti che intestano i suoi quadri, che
imboccano preoccupanti metamorfosi cartoonistiche (piedi e becco da papero
...), o che dialogano con compostezza socratica con personaggi dei fumetti
come Topolino? Essi non occupano lo stesso posto di questi ultimi nella
cultura di massa, e tanto meno in quella infantile: di più, essi
non richiamano nemmeno l’infanzia in quanto tale, in quanto non
sono veri bambini, ma bambini possibili, non-nati anziché neonati.
I non-nati, come i nati-morti non-battezzati, morti prematuri e inconsapevoli,
abitano il limbo, una terra di mezzo, la terra incerta dove la realtà
manca a se stessa, ed è in via di “concepimento”. Con
la loro insistente presenza, pari a quella di una “maternità
indesiderata”, i feti dichiarano che non c’è una realtà
infantile, ma piuttosto c’è un infantilismo del reale - la
realtà è infantile in sé, ossia è imperfetta
per definizione, è perennemente fetale, prenatale, prematura. Laddove
dunque si è trattato di far proseguire l’immaginario oltre
la parola “Fine” nelle sue conseguenze effettive, qui si tratta
di rintracciare un “prima” dell’inizio della storia,
dove la realtà non è ancora completamente se stessa e si
presenta piuttosto sotto forma di gravidanza. Ne segue che possiamo vendicarci
realmente dell’immaginario, ma nello stesso tempo ciò ci
costringe a una vendetta solo immaginaria sulla realtà. Infatti,
mentre cerchiamo di espandere i sogni oltre la parola “Fine”,
cerchiamo di far in modo che la vita reale non abbia nemmeno inizio -
in questo consistono tutte le pratiche di preservazione, di astinenza,
di omeopatia
del reale che Pinna ci restituisce quando ad esempio dipinge i suoi feti
usando il lattice di gomma con cui sono fabbricati gli anticoncezionali.
In questa duplice inversione sta la stretta del contemporaneo. Personalmente, essendo ben convinto che la postmodernità non è che un moderno a rovescio, sono contento che non gli sia toccato in sorte né l’uno né l’altro destino, anche se questo vuol dire fare i conti con una contemporaneità tutt’altro che rassicurante. Facendo dialogare le due serie, attribuendo a ognuna le caratteristiche dell’altra - Mickey Mouse e Beep Beep perdono i loro squillanti colori per diventare pupazzi monocromi e lattiginosi, mentre i feti perdono il loro look da atlante anatomopatologico per diventare dei cliché fumettistici - Pinna non dimostra solo di avere assimilato quelle poetiche, ma di averle superate, almeno nelle intenzioni. Egli anzi ci dice chiaro che come uomini siamo sì presi dentro i nostri stessi sogni - e siamo quindi fottuti - ma come artisti possiamo prender fuori i nostri sogni e fotterli. Questo è di sicuro un compito difficile, se non paradossale - insomma, è qualcosa di molto diverso da un “entusiasmo estetico” o da una “presa di coscienza critica”. Fare l’artista è oggi davvero un “lavoro di merda”, perché è un lavoro cinico, ma anche delicato - far fuori i propri sogni per meglio riconoscere che la realtà, in sé stessa, non è tutto, ma è anzi ciò-che-manca... Ma è comunque qualcosa: se non altro è l’opposto di ciò che generalmente facciamo tutti i giorni, quando cerchiamo di rendere reali le nostre fantasie senza accorgerci che intanto la nostra realtà va modellandosi su fantasie che non sono affatto nostre. Alex Pinna è nato a Savona nel 1967. Vive e lavora a Milano. Marco Senaldi è critico d’arte. Vive e lavora a Milano. |
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