Ziqqurat n°3
Sommario
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Titolo Nino Dore
di Mariolina Cosseddu
Ninò, come lo chiamano gli amici che conoscono bene la sua vicenda
personale, è, nell’uomo prima ancora che nell’artista,
un ribollente composto di prepotente energia e malcelate tenerezze, volitive
determinazioni e incantate affettività, un incendiario sincretismo
tutto racchiuso in quel “andante con fuoco” della mostra sassarese.
Una mostra che nonostante i pochi selezionatissimi pezzi è apparsa
uno degli eventi più significativi della stagione scorsa. Ospitata
nelle sale del Palazzo della Provincia ha raccolto gli oli collocati fra
l’inizio dell’Ottanta e la fine del Novanta in un percorso
segnato da rara capacità di mantenere in bilico le due anime dell’artista.
«Una sorta di poetica del limite» giustamente definita da
Giuliana Altea e Marco Magnani, curatori della mostra, che individuando
i versanti opposti e complementari del lavoro di Nino Dore, ne hanno sottolineato
la «tensione fortissima e coinvolgente, come di chi cammini sull’orlo
del precipizio.»
Questo linguaggio, che ribolle nell’intimità delle strutture
cromatiche, si placa in superficie nell’estensione calibrata delle
severe pennellate assicurando così una continua osmosi tra la vitalità
dell’emozione e la quiete della ragione. Nel corso degli anni Nino
Dore è andato esercitando un progressivo controllo su un’arte
d’esordio più fortemente gestuale e densamente materica man
mano decantata e condotta verso una più essenziale e meritata stesura
compositiva.
Il soggiorno a Parigi (di cui l’accentuazione sul nome mantiene
il ricordo) e l’incontro con «lo spirito sperimentale di Mauro
Manca» (con la conseguente esperienza didattica all’Istituto
d’arte di Sassari) convincono Nino Dore della necessità di
non perdere mai di vista l’impulso primario del proprio assunto
pittorico ma riconducendolo, allo stesso tempo, entro un processo di internazionalizzazione
proprio alla ricerca artistica contemporanea. Così se il suo registo
stilistico può essere assimilabile a un certo espressionismo lirico
di marca decisamente europea, la sua poetica acquista in maniera sempre
più visibile una valenza decisamente personale e coerentemente
approfondita sino a porsi, ancora oggi, come un momento centrale della
storia dell’arte sarda.
Il cuore pulsante del lavoro di Nino Dore risiede infatti, come vide a
suo tempo Salvatore Naitza, nell’adozione di un preciso metodo operativo,
vale a dire in «un approccio all’arte visiva che consiste
nel far derivare l’immagine da un’azione e non da un progetto
finito, che, in quanto tale, è necessariamente a priori.»
A dispetto della forma, dunque, il colore costruisce architettonicamente
spazi e tempi allusivi a scenari non compiuti, drammatizza suggestioni
ed evoca possibili itinerari nelle oscurità della mente. Senza
limiti se non nella stessa fisicità della materia pittorica, il
colore si stratifica e si sovrappone, si lacera e si riassorbe, si ingabbia
in spirali o si regolarizza in ritmi piani e lineari. Alla grande complessità
strutturale che ne deriva si lega un vissuto emozionale che tocca tutti
i sensi sollecitando risposte e chiedendo conferme. Addentrarsi in quei
labirinti equivale a vivere una forte esperienza estetica i cui confini
sono tracciati dall’intensità, dalla frequenza e dall’iterazione
delle sequenze cromatiche. È chiaro allora che l’artista
affida al colore un corrispondente contenuto esistenziale, delineando
una metodologia pragmatica che trasforma in linguaggio artistico il sentimento
del vivere. Senza rinunciare mai alla riflessione e all’affinamento
della propria grammatica espressiva, Nino Dore appronta, di volta in volta,
raffinate impaginazioni di illusorie profondità, di sorde risonanze
temporali, di trionfanti monocromi dalle esaltate luminiscienze. Per questo
la mostra sassarese ha voluto offrire quella produzione che meglio riassume
gli assunti pittorici di un Nino Dore nella piena maturità artistica,
in preda, come sempre, ad un’eterna dialettica fra appassionate
conflittualità e liriche soluzioni.
Nino Dore è nato nel 1932 a Sassari. Alla fine degli anni ’50
è stato uno dei pionieri dell’arte aniconica in Sardegna.
Negli anni ’60 si è trasferito a Roma dove vive e lavora.
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